Prendiamo un presidente del Consiglio con meno di 50 anni, con una faccia un po' così, da secchione alto e occhialuto, serio e irreprensibile, uno che recita la parola «so-brie-tà» come il rosario. Politicamente correttissimo e con un bel 10 in aritmetica che gli ha permesso di calcolare le «quote rosa» con la precisione di una professoressa di matematica. Una donna ogni due uomini, e così è stato. Quando ha giurato al Quirinale, l'esecutivo di Enrico Letta poteva vantare il maggior numero di ministre mai registrato: sette sui 22 complessivi. Un harem che non induce in tentazione.
Dal compassato profeta delle larghe intese non ci si aspetterebbero problemi con le donne. E invece anche l'austero Letta è inciampato nell'imprevedibilità dell'altra metà del cielo. In nove mesi di governo le quote rosa gliene hanno combinate di tutti i colori. Una non ha sanato qualche abuso edilizio tra le mura domestiche, un'altra si è fatta intercettare in chiacchiere compromettenti su detenuti eccellenti, un'altra ancora non riesce a riportare in patria due soldati italiani dall'India. La più recente grana femminile è arrivata dalla ministra che ha maggiore dimestichezza con le larghe intese: un'ex (ma non è detta l'ultima parola) berlusconiana andata in moglie a un papavero del Partito democratico.
Povero Letta. Lui è uno che ci crede, un seriosissimo pignolo che non guarda le scollature ma soltanto le indicazioni dei partiti. Lui non è Barack Obama che fa gli autoscatti al telefonino con il primo ministro danese, una bella bionda quarantenne: al massimo si incornicia le foto ufficiali accanto ad Angela Merkel. «Le donne del mio governo sono migliori degli uomini del mio governo», si vantò alla Fiera del Levante di Bari pochi giorni dopo il varo dell'esecutivo. Sprezzante del ridicolo, e dei curriculum, il premier aveva difeso con convinzione le sue signore: «Noi abbiamo il record di donne». Fossimo sulla Settimana enigmistica, sarebbero le ultime parole famose, quelle che accompagnano le barzellette in coda alla rivista. Non siamo nemmeno su Scherzi a parte, ma a Palazzo Chigi.
Così adesso abbiamo il record delle figuracce rosa. Dimissioni per Iosefa Idem. Dimissioni per Nunzia De Girolamo. Imbarazzi per Annamaria Cancellieri, che al telefono si è prodigata per i Ligresti in cella senza essere ancora riuscita a varare una norma svuota-carceri. Perplessità per Cécile Kyenge, di cui non si ricorda un'azione di governo (convegni a parte) per favorire l'integrazione. Guai da Beatrice Lorenzin, che non ha gestito la sperimentazione del «metodo Stamina» con le dovute cautele. Calci nel lato B per Michaela Biancofiore, sottosegretaria costretta a lasciare il governo dopo che Silvio Berlusconi è stato costretto a lasciare il Senato. E dubbi su Emma Bonino, indecisa a tutto sulla sorte dei due marò prigionieri.
Enrico Letta è beato tra le donne, ma il gineceo non gli ha portato bene. Non dovrà fronteggiare i guai di Hollande, le malelingue di Sarkozy o i processi di Berlusconi; è lontano mille miglia dal «sexgate» della coppia Clinton-Lewinsky e anche dalle scorribande extraconiugali di John Kennedy. Non ha una segretaria-fidanzata pericolosa come l'ex sindaco di Bologna Flavio Delbono e nemmeno una governante procace come Arnold Schwarzenegger quand'era governatore della California, e sul suo capo non incombono i grattacapi familiar-immobiliari a Montecarlo di Gianfranco Fini.
Eppure qualche problemino con il gentil sesso ce l'ha anche lui, l'insospettabile Enrico.
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