Expo, l'inchiesta svela la paura di non farcela tra ritardi e faide interne

MilanoL'Expo visto da dentro è un miraggio pieno d'angoscia. Vicino, troppo vicino. Un conto alla rovescia che si appresta allo zero e l'incubo di una figuraccia mondiale. «Ho finito una riunione con quelli di Expo - dice l'avvocato Carmen Leo, ora ai domiciliari, in una telefonata intercettata dalla Finanza -, hanno un cronoprogramma che piange vendetta». Nelle 700 pagine di informativa che le fiamme gialle hanno consegnato ai magistrati milanesi c'è soprattutto questo: la paura, densa e inconfessabile, di non fare in tempo. «I lavori finiscono a maggio 2015 - insiste la Leo - e si trovano nell'impossibilità di completare le opere».
Le nuove carte dell'inchiesta su Infrastrutture Lombarde (Ilspa) - la società della Regione Lombardia - aprono uno spaccato inedito sulla corsa a ostacoli verso il 2015, sulle guerre di potere che si consumano tra Expo spa, Pirellone e Ilspa, sulle strettoie nelle quali si muove l'ormai ex direttore generale di Infrastrutture Antonio Rognoni, il quale si muoveva su un crinale pericoloso, borderline - secondo i pm, anche oltre - forzando le procedure di affidamento dei lavori per non «bucare» il Grande Appuntamento. In quattro anni, annotano inoltre gli investigatori della Gdf, Rognoni ha percepito stipendi per un totale di circa 3 milioni e 282mila euro.
«I lavori - insiste la Leo al telefono - sono oggettivamente incomprimibili, anche dovesse impiegare 300 persone non può fare di più perché ci sono dei gradi da seguire». Eccolo, lo scenario impronunciabile. «Va in galera - sbotta l'avvocato - se qualcuno dovesse dire: “Ah, Expo non si fa perché non c'è più tempo, hai speso già un sacco di soldi pubblici”». Ma è tutta la macchina che sembra procedere col freno a mano tirato. Il progetto per la «Piastra» di Expo (elaborato da Metropolitana Milanese spa) avrebbe ad esempio gravi carenze. Mancano elaborati, le tavole sono incomplete e - incredibile - non sarebbero stati previsti gli ascensori. «E noi non possiamo dire che non lo sapevamo», si sfoga Pierpaolo Perez, capo dell'Ufficio gare di Infrastrutture. «C'è il grosso problema - lamenta ancora Perez - che mettono a base di gara dei progetti carenti», e questo può causare intoppi ai lavori. E gli intoppi non se li può permettere più nessuno. Ed è anche per questo che gli appalti finiscono ai soliti noti. Sullo sfondo resta la politica, perché gli incarichi erano affidati da Infrastrutture Lombarde ai «soliti professionisti» più per «ragioni legate alla loro appartenenza o vicinanza ad ambienti politico-affaristici», annota ancora la Gdf, piuttosto che «alle loro specifiche competenze». In particolare, si fa riferimento a «una fitta rete di relazioni intessuta dagli avvocati Carmen Leo e Fabrizio Magrì, soggetti legati alla Compagnia delle Opere e agli ambienti della presidenza della Regione Lombardia» ed anche al «movimento di Cl». Ma il punto, qui, è che c'era bisogno di correre, di «spacchettare» le gare per passare all'affidamento diretto e avere garanzie sulle consegne. Poi, al limite, i documenti compromettenti «li trituriamo», dice il manager Alberto Porro a Rognoni in una telefonata del luglio 2012. Le verifiche sulla congruità delle offerte? Un problema secondario. Annotano gli investigatori: «Ilspa ha scelto di aggiudicare comunque e nel più breve tempo possibile l'opera strategicamente più importante per la realizzazione dell'Expo (la «Piastra», ndr), in ciò condizionata dall'incomprimibile ritardo che ostacolava gravemente il completamento del sito in tempo utile per l'avvio della manifestazione espositiva».
E così Rognoni ha oltrepassato la linea. Per questo, raccontano le carte, era nato un conflitto tra il manager, l'ad di Expo spa Giuseppe Sala, e la cerchia più stretta dell'ex governatore Roberto Formigoni (il segretario generale Nicola Sanese, il sottosegretario alla presidenza Paolo Alli, il vicesegretario generale Marco Carabelli). Perché Rognoni intendeva «esercitare sempre maggior influenza nella gestione degli appalti Expo».

Lui era il «satrapo», come lo chiamavano le malelingue in Regione. Si era scelto i «suoi» uomini e indicato le società più fidate. Aveva preso la scorciatoia. Doveva arrivare in fretta a Expo, è finito dritto a San Vittore.

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