Totò Cuffaro, detto «Vasa vasa» (bacia bacia), si vantava di averli baciati tutti, uno per uno, anche 300 al giorno («metà Sicilia ho baciato») i suoi elettori: smack, voto. Un'arte. Di più, una scienza esatta quella della preferenza. I vecchi ras Dc si erano specializzati in ambi, terne, quaterne, trucchi diabolici per non perdere neppure un elettore. «Votate l'anno», cioè il 1976, raccomandava un giovane Mastella ai beneventani, che sulla lista avrebbero trovato De Mita (numero 1), lui (numero 9), Gerardo Bianco (al 7) e Giuseppe Gargani (numero 6 in lista). Remo Gaspari, detto «Duca degli Abruzzi» (ma anche «San Remo», o «Zio Remo»), sedici volte ministro, dieci volte deputato, campione di preferenze, per mantenerle fece costruire due autostrade per collegare L'Aquila e Pescara alla Capitale e uno svincolo autostradale nella sua Gissi (3mila abitanti), mentre l'aretino Fanfani fece deviare l'A1 pur di farla passare da Arezzo (la cosiddetta «curva Fanfani»).
Le preferenze? Vanno rimesse perché «ciascuno deve andare a chiedere il voto per sé, con il proprio cognome» tuona Angelino Alfano, leader Ncd. «I parlamentari vengano scelti dai cittadini e non dai partiti, in parlamento proporremo le preferenze» rilancia un agguerrito Pier Ferdinando Casini, e con lui altri leader di partiti(ni) terrorizzati dal maggioritario messo in cantiere da Berlusconi-Renzi. «Una legge elettorale senza le preferenze è una legge antipopolo» avverte Chiocchetti, leader di «Idee più Popolari» (Ipp). E a quel punto qualche domanda te la fai.
Peraltro, il voto con la preferenza in Italia c'è già quasi dappertutto. Si votano con le preferenze i Comuni, le Regioni, il Parlamento europeo, e anche i collegi esteri di Senato e Camera. Gli effetti miracolosi sul famoso «rapporto elettore-eletto»? Chiedete a Franco «Batman» Fiorito, 75mila preferenze in Lazio, o al giovane «Mr. Preferenze» del Comune di Roma Samuele Piccolo (12mila preferenze, il più votato), arrestato nel 2012. O fatevi un giro alla voce «deputati» sul sito del Parlamento Ue. Per trovarci il fratello di Prodi, l'ex bassoliniano campione di voti a Napoli Antonio Cozzolino, poi Ciriaco De Mita, 86 anni, eletto a Strasburgo (56.442 preferenze!) con l'Udc, o Vito Bonsignore (Ncd), già andreottiano Dc nel 1970. Per tacere poi dei brogli e imbrogli col voto (di preferenza) all'estero. «Se si vogliono partiti solidi il voto di preferenza deve essere escluso come un male assoluto» scriveva tempo fa il giurista ed ex senatore Pd Stefano Ceccanti. Già, il Pd. La frattura tra pro e contro preferenze attraversa di netto il partito di Renzi. L'ala ostile al sindaco le rivendica, «basta con le liste di fedeli cal capo, servono le preferenze» scrive il governatore toscano (e bersaniano) Enrico Rossi; Alfredo D'Attorre, ex coordinatore dell'area bersaniana e ora cuperliano definisce «inaccettabili» le liste bloccate, anche se corte, dell'«Italicum» figlio dell'accordo Renzi-Forza Italia. E pure i cattolici Pd che fanno capo a Beppe Fioroni guardano con nostalgia alle vecchie preferenze. Quando la Consulta ha bocciato il Porcellum lasciando in mezzo alle macerie un proporzionale puro con preferenze, l'onorevole piddino Fioroni si è quasi commosso: «È la legge Fioroni, la proposta di legge che ho presentato la scorsa legislatura in Parlamento! Un grande sistema elettorale, democratico e costituzionalmente corretto...». E pensare che, fino a poco fa, guai a parlare di preferenze ai bersaniani (come l'anti-renziana Finocchiaro, due anni fa: «Se qualcuno vuole le preferenze sappia che non siamo disponibili»).
E pensare poi che nel 1991 gli italiani, a furor di referendum (95,6% di sì) e di «dagli al ladro di partito», le avevano abolite, seppur parzialmente, con la cosiddetta preferenza unica lanciata da Mario Segni e rilanciata dal Pds, grande sponsor del no alla preferenze. «Craxi (che invitava invece ad andare al mare, ndr) commette un grave errore - ammonì Occhetto, capo dei post comunisti Pds - il referendum punta a ottenere un Parlamento più autorevole, un elettore più libero e responsabile, un rapporto più stretto e trasparente tra cittadini ed eletti». Le stesse parole, al contrario, di chi oggi sostiene il ritorno alle preferenze. «Nei palazzi del potere oggi si suda freddo» scrisse allora Repubblica raccontando la vigilia di terrore per le segreterie dei vecchi partiti. Sarà anche un caso, ma nei grandi paesi europei non si vota con le preferenze. Non ci sono in Francia, in Spagna, in Germania, in Gran Bretagna. Un voto che costa parecchio, poi.
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