Roma - Conosceva la figlia, cui ha dato anche 30 all’esame la mattina, ma non la madre, quella con la t-shirt omicida, che l’ha fotografato, il Diliberto sorridente e abbracciato all’augurio cimiteriale, solo a sua insaputa, come per illustri predecessori. Una carognata, povero segretario dei Comunisti italiani. «Ribadisco e rafforzo quanto già detto: non mi ero accorto della maglietta». E che state a guardare la maglietta quando vi fotografano? Il giurista si scusa, ma non aveva proprio visto quel «Fornero al cimitero» stampato sulla t-shirt della signora. L’ha visto la Fornero: «Leggo che un ex ministro della Giustizia ha offerto il suo sorriso partecipe e compiaciuto a fotografi che registravano una manifestazione per la quale lo slogan scelto era: La Fornero al cimitero. Provo profondo disgusto e sdegno e denuncio l’irresponsabilità di simili comportamenti». Ma era a insaputa di Diliberto, lui che ha sempre avuto fama di moderato tanto da guadagnare, ai tempi di Liberazione, il soprannome di «Diliberija», da Berija, capo della polizia segreta di Stalin, non proprio un agnellino. E comunque ha chiarito, quindi doveva essere la Fornero, che è «un po’ nervosa» - ha sostenuto Diliberto alla Zanzara - a telefonargli, prima di «fare certe dichiarazioni», oppure dopo, per «scusarsi» di averle fatte.
Istinti omicidi però Diliberto non ne cova, al massimo solo come iperbole, da kamikaze (figurato) della lotta di classe. Come in un’intervista alla Bignardi dove, alla domanda su cosa sceglierebbe tra una serata a Villa Certosa con Berlusconi e una al Billionaire di Briatore, optò per la seconda. Ma solo per andarci «imbottito di tritolo». Cioè per fare una strage? Ma no, non voleva dire quello, non si equivochi. Eppure anche lì successe un pandemonio, anche perché Diliberto parlava da segretario di un partito della maggioranza, periodo in cui gli capitarono altri incidenti diplomatici. Attaccò Padoa-Schioppa, che era ministro del suo stesso governo, perché i due cognomi non gli piacciono: «Diffido di quelli che hanno due cognomi perché tendenzialmente non stanno coi lavoratori». Sempre nel 2007, facendo visita al mausoleo di Mosca per i novant’anni della Rivoluzione d’ottobre gli venne una bella idea, e la disse subito alle agenzie di stampa che l’avevano seguitò in Russia: «Potremmo portare a Roma la mummia di Lenin se nelle Russia post-sovietica di Putin il Cremlino decidesse di rimuoverla». Sempre in quella feconda annata Diliberto se ne uscì con un’altra perla rivoluzionaria, a Porta a porta disse: «È indispensabile andare in tv, anche se personalmente non ho una particolare predilezione ad apparire, per fare vedere che siamo diversi da Berlusconi. Bisogna far vedere che ci fa schifo». Per inquadrare il tipo, diciamo che Diliberto è un fan assoluto della Corazzata Potemkin, film-capolavoro della propaganda sovietica.
Ma ecco, la domanda si pone: non ci sarà in questa storia della foto e della maglietta, «la mano degli apparati deviati»? Insomma un complotto contro Diliberto e la causa del comunismo internazionale? Quel sospetto, di un intervento di «apparati deviati» non ben identificati lo tirò fuori proprio lui, dopo l’ennesima gaffe. Sempre da leader di governo, nel 2006, quando Diliberto sfilò in un corteo pro-Palestina a Roma dove ad un certo punto i manifestanti si misero a urlare «10, 100, 1.000 Nassiriya» (26 soldati italiani trucidati) e a bruciare le bandiere di Israele.
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