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Franco Nero a cena con Esposito: è vero, lui odiava Berlusconi

L'attore conferma il racconto della serata con il magistrato che ha condannato il Cavaliere. "Ne parlò a tavola, non nascondeva la sua avversione. Una toga non dev'essere riservata?"

Franco Nero a cena con Esposito: è vero, lui odiava Berlusconi

È stato uno dei magistrati più apprezzati al cinema e in tv. «Ero il dottor Traini, pubblico ministero, in Confessioni di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica di Damiano Damiani, una storia di torbidi intrecci a sfondo mafioso. E poi ero il dottor Dani in Corruzione al palazzo di giustizia: una pellicola cui sono molto affezionato, tratta dal dramma teatrale di Ugo Betti».
Franco Nero, classe 1941, uno degli attori italiani più noti nel mondo, è in campagna, non lontano da Roma e rievoca con voce squillante i fasti di una lunga carriera. «Ci troviamo qua con tutta la tribù, con i nipoti e i parenti, passiamo qualche giorno d'estate insieme, sa, ormai io vivo gran parte dell'anno lontano dall'Italia, l'Italia è un paesuccio piccolo piccolo, con le solite camarille, i soliti giri degli amici degli amici, io, per carità, ricevo copioni in lingua inglese, lavoro per gli americani, sto bene così, non sono come i tanti artisti che dicono peste e corna di Berlusconi e poi corrono dalle sue società per realizzare i film o come gli intellettuali che odiano il Cavaliere e poi scrivono libri per Mondadori ed Einaudi. Certo che anche i magistrati, e ne ho impersonati tanti, pensavo fossero nella realtà persone riservate. Invece questo Esposito...».

Antonio Esposito, il presidente della seconda sezione della Cassazione, il giudice più famoso d'Italia da quando, tre settimane fa, ha letto la sentenza che condanna in via definitiva Berlusconi a 4 anni di galera per frode fiscale. Due anni fa Esposito e Nero s'incontrano nella villa a strapiombo sul mare di un comune amico, Massimo Castiello, piccolo imprenditore calabrese. E Castiello ieri ha raccontato al Giornale che quella sera, davanti a un piatto di pasta, patate e provola, Esposito si lasciò andare, forse perché galvanizzato dalla buona cucina, dalla vista meravigliosa del golfo di Policastro e, soprattutto, dalla presenza di Franco Nero, un attore di cui sapeva tutto e di cui citava a memoria battute e spezzoni dei film. «Ricordo - sorride Nero - che Esposito aveva una certa antipatia per Berlusconi, altro che la riservatezza di cui i giudici dovrebbero essere maestri». Castiello ha ancora in mente le parole del magistrato: «Berlusconi mi sta proprio sulle palle. Ma se mi dovesse capitare a tiro gli faccio un mazzo così». Eleganza e discrezione. Nero sorride: «Castiello ha ragione, Esposito non sopportava il Cavaliere. E invece il Cavaliere a me sta pure simpatico. Una volta ero a Linate, era notte e c'era una nebbia terribile, io dovevo prendere il volo per Roma ma gli aerei non partivano. Mi ero rassegnato a tornare a casa, quando all'improvviso sbuca lui: “Che fai?” “Come che faccio, volevo prendere il volo per Roma ma mi sa che devo rinunciare”. “Ma no, che dici, il mio aereo parte, vieni con me”. M'imbarcò sul suo aereo e siamo decollati. Certo, me la sono fatta addosso ma sono arrivato a destinazione».
Risata. «Senza offesa ma l'Italia mi sta stretta. L'Italietta, Italiotta, Italiuccia. Io sto fuori, ho sposato un'attrice inglese, Vanessa Redgrave, recito in lingua inglese e senza superbia, ma ho una popolarità impressionante in mezzo mondo. Del resto il film che citavo prima, Confessioni di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica, credo sia la pellicola italiana che ha avuto più fortuna fuori dai nostri confini. La più venduta all'estero». Un marchio insuperabile del made in Italy in celluloide. «In America e a Londra si respira un'aria diversa, non questo conformismo che c'è qua da noi. E pure questo Esposito...».

Quella sera il giudice arriva nella villa di San Nicola Arcella direttamente da Sapri, dove trascorre il periodo estivo. Un viaggio di un'ora circa, in macchina. Un piccolo sforzo ma ne vale la pena: a tavola c'è anche Franco Nero di cui Esposito sa tutto. E a tavola sotto il cielo di Calabria tartassa l'attore di domande: «Era incuriosito dai miei film, disse che li aveva visti tutti o quasi, s'interessava alle trame, si soffermava sulle diverse interpretazioni della figura del magistrato da me svolte». Ad un certo punto il discorso cade su una pellicola sfortunata: L'escluso, del 1999, girato in lingua inglese alle porte di New York e diretto da Carlo Gabriel, il figlio di Franco. «Io recitavo con mia moglie, Vanessa». La paladina dei diritti civili, dal milieu, secondo le nostre classificazioni, tutto a sinistra. «L'escluso è la storia di un ragazzo, Tony, che ama follemente una sua compagna di scuola, Patricia: Patricia viene trovata uccisa e Tony è accusato e finisce in galera. È colpevole o no? In un certo senso la difesa conta più del crimine, forse commesso o forse no, e la pellicola offre diverse prospettive e suggerisce diversi scenari, un po' alla Rashomon di Kurosawa. La giustizia ha mille sfaccettature e io le ho sempre raccontate: nei Guappi di Pasquale Squitieri, per esempio, sono un giovane malfattore che esce dal riformatorio dopo aver scontato la pena e decide di studiare e diventare avvocato. Ma si trova a dover fare i conti con il boss del quartiere, Fabio Testi. Un capolavoro, a mio parere».
Quella notte in Calabria Esposito ascolta e freme davanti a un titolo desaparecido pure per lui: «L'escluso per me è stato un bagno di sangue, ci ho rimesso tanti soldi, Mediaset ha acquistato i diritti d'antenna ma deve averlo mandato in onda una volta sola, in orari semiclandestini. Sa, io utilizzavo come metro di misura Silvio Berlusconi, pensavo che con i suoi dirigenti si ripetesse lo stesso siparietto andato in scena con lui. Ci eravamo incontrati, gli avevo detto che avrei voluto fare un film, gli avevo raccontato la trama del western che avevo in testa e lui mi aveva stretto la mano. Contratto chiuso. L'indomani mi avevano chiamato i suoi e avevo girato Jonathan degli orsi. Perfetto. Invece per L'escluso avevo parlato con Carlo Bernasconi, sembrava fatta, ma poi Bernasconi, pace all'anima sua perché oggi non c'è più, si è rimangiato la parola data e il film è diventato un fantasma. Peccato. E insomma, alla fine di quella cena credo che Massimo Castiello abbia regalato a Esposito la preziosa videocassetta, quasi un cimelio qua in Italia. Chissà se l'ha visto, in quell'occasione abbiamo parlato di tanti film, adesso non ricordo più nemmeno bene. Sa, io ho girato tante pellicole: c'è chi predilige Il giorno della civetta e chi Il delitto Matteotti di Florestano Vancini. Guardi la combinazione, ho girato nel '73 Il delitto Matteotti in cui sono il deputato socialista che muore per mano del Duce e l'anno dopo, nel '74 Mussolini ultimo atto, in cui presto il mio volto al colonnello Valerio che va a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, a fucilare il Duce, uno straordinario Rod Steiger».

Quella sera, Esposito fa la sua figura, manco fosse un dizionario Mereghetti, poi passa al Cavaliere e lancia la sua sinistra profezia: «Berlusconi si salva sempre... gli avvocati... la prescrizione. Ma se dovesse capitarmi a tiro gli faccio un mazzo così». Un vaticinio che si è avverato a due anni di distanza quando il presidente della seconda sezione è andato a presiedere il collegio feriale chiamato a far rotolare l'ultima parola sul processo Mediaset. Ma lui la sua sentenza l'aveva già confezionata in precedenti occasioni: a tavola con l'ex vicedirettore del Giornale Stefano Lorenzetto, nel marzo 2009, quando aveva mostrato di conoscere le misteriose intercettazioni a luci rosse del Cavaliere e aveva illustrato, fra un piatto e l'altro, le performance erotiche dell'ex premier con due deputate del Pdl, e poi quella notte di agosto del 2011, nella villa di San Nicola Arcella. Lì il verdetto era diventato, se possibile, definitivo: «Berlusconi mi sta sulle palle». «Mi sono fatto una certa idea dei magistrati, ma io per mia fortuna, ormai vivo lontano dall'Italia - conclude Nero -. Anche se non mi dispiacerebbe rivedere Berlusconi.

Chissà che una volta o l'altra non ci si incontri di nuovo».

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