Frode fiscale, quattro anni al Cav I legali: "Verdetto incredibile"

I giudici di Milano credono all'ipotesi dei pm: "Solo lui avrebbe potuto architettare una truffa sui diritti tv Mediaset". Inflitti 5 anni di interdizione dai pubblici uffici

Milano «Naturale capacità a delinquere»: una sentenza come un marchio. Per i giudici di Milano Silvio Berlusconi non è solo colpevole di avere frodato il fisco, ma di averlo fatto architettando una macchina complessa e sofisticata, una specie di Spectre della contabilità occulta, finalizzata anche a succhiare centinaia di milioni dalle casse di Fininvest dirottandole sul suo patrimonio personale. Per questo i giudici condannano Berlusconi a quattro anni di carcere, di cui tre coperti dall'indulto; e per questo gli proibiscono di rivestire per cinque anni qualunque pubblico ufficio. Se e quando la sentenza dovesse diventare definitiva, il Cavaliere dovrebbe lasciare la politica.

Alle 16 di ieri nell'aula della prima sezione penale va in onda l'ultima puntata del processo a Berlusconi e ai suoi dieci coimputati per la faccenda dei diritti televisivi acquistati da Mediaset negli anni Novanta: ed è una conclusione che irrompe aldilà delle previsioni nella scena politica. All'ex presidente del Consiglio vengono negate anche le attenuanti generiche e vengono inflitti quattro mesi di carcere più di quanto avesse chiesto il pubblico ministero Fabio De Pasquale, il suo grande accusatore. Berlusconi dovrà immediatamente versare dieci milioni di risarcimento all'Agenzia delle entrate. Per i giudici Berlusconi - nonostante all'epoca dei fatti avesse lasciato la guida del gruppo da lui fondato - ne restava il dominus. E solo lui avrebbe potuto governare il sistema di conti offshore e di fatture gonfiate che dirottò fuori dalle casse del gruppo tra i 300 e i 400 milioni di euro, attraverso una gigantesca «cresta» sul costo dei film da trasmettere sulle tre reti del Biscione. È lui, dice la sentenza, «l'ideatore dai primordi dell'attività delittuosa».
I giudici della prima sezione erano in camera di consiglio da lunedì, al termine di una processo durato quasi cinque anni. Nel chiuso di una caserma dei carabinieri non si sono limitati a valutare il peso delle prove, ma hanno anche scritto le motivazioni della sentenza, quelle che in genere impiegano mesi per venire depositate. Il motivo è semplice: evitare la prescrizione, che - secondo i calcoli più autorevoli - scatta a settembre del prossimo anno. Il prezzo d'acquisto dei film, hanno scritto nelle motivazioni lette in aula dal presidente Edoardo d'Avossa, consentì al mediatore ricarichi del cento e duecento per cento, «una percentuale assolutamente anomala e ben catalogabile nel meccanismo di frode». E chi se non Berlusconi poteva autorizzare una simile prassi? «Non è credibile che qualche dirigente di Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e che la società abbia subito per vent'anni truffe da milioni di euro senza accorgersene».

Obiettivo di tutto, secondo i giudici: frodare il fisco e intanto drenare soldi verso i conti offshore intestati a Berlusconi e ai suoi figli maggiori. Secondo la sentenza, infatti, il mediatore Frank Agrama era «sovrapponibile» a Berlusconi: ovvero, come ha sempre sostenuto il pm De Pasquale, ne era il «socio occulto». E i ricarichi sui film venivano poi spartiti tra i due.

In meno di due ore, il giudice d'Avossa esaurisce la lettura delle motivazioni. In aula il clima di tensione è palpabile. Gli avvocati di Berlusconi, Ghedini e Longo escono dall'aula parlando di «una sentenza assolutamente incredibile che va contro le risultanze processuali. Addirittura non si è tenuto conto delle decisioni della corte di Cassazione e del giudice di Roma, che per gli stessi fatti hanno ampiamente assolto il presidente Berlusconi». A D'Avossa i legali dell'ex capo del governo contestano anche di non avere atteso, prima di fare la sentenza, la decisione della Corte Costituzionale, chiamata a decidere se le prerogative istituzionali di Berlusconi siano state rispettate durante le udienze.
Ovviamente Ghedini e Longo faranno appello, ma intanto il peso della sentenza è innegabile. Il percorso giudiziario dell'autunno-inverno del Cavaliere, con tre processi che arrivano a conclusione uno dopo l'altro - prima questo, poi il nastro di Fassino, poi il Rubygate - è iniziato nel peggiore dei modi.

Per il resto, la sentenza per la Procura non è senza ombre: vengono prosciolti diversi imputati minori, e assolto con formula piena il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, i cui legali Vittorio Virga e Alessio Lanzi hanno saputo evidenziare la mancanza assoluta e quasi surreale di prove o indizi. Ma la stangata a Berlusconi c'è. Stavolta, De Pasquale ha vinto.

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