Chi è di destra e chi di sinistra? Ogni tanto ci chiediamo se questa sia ancora una vera domanda o l'eco di un antico gioco di società. Eppure, si tratta di una questione fondamentale per tutti specialmente se manteniamo un occhio aperto sul passato da cui proveniamo: quello di un secolo fa quando rivoluzione e democrazia, colpo di Stato e riformismo, guerra e pace erano temi già insanguinati prima della Grande Guerra, madre a sua volta della successiva e più devastante guerra di tutti i tempi da cui tutti discendiamo, pur avendone perso la memoria e anche la voglia di conservarne la memoria.
Fu proprio quel conflitto di un secolo fa il nostro Big Bang, l'inizio dell'universo che abitiamo oggi. Oggi abbiamo l'illusione della memoria perché YouTube e Wikipedia ci danno l'illusione di vivere in un'era rassicurante dal momento che tutto il passato è stato inutilmente filmato e in cui - basta volerlo - tutto sembra alla portata di un solo clic. Ma è un'illusione, specialmente dei più giovani perché salvo eccezioni la memoria di ciascuno è in necrosi e il pensiero cortissimo ci ha trasformato in milioni di termiti che producono la decomposizione dell'identità e lo spappolamento della politica. Il risultato sta sotto i nostri occhi: una distratta confusione depressa e sterile occupa gli interstizi e produce caos. Diversamente da quel che sosteneva il presidente cinese Mao Zedong, la confusione produce soltanto nuova confusione, perché tutto il male viene per nuocere.
Io sono un liberale con un passato socialista e desidero per il futuro del mio Paese la vittoria dei principi e degli uomini liberali. E so di non essere solo, cosa vagamente confortante. Altri, a destra come a sinistra, si dedicano soltanto alle questioni occasionali e contingenti (che servono, ma non bastano) ma pochi hanno in mente the big picture, il grande insieme del sogno che vorremmo realizzare.
Vaste programme rispose Charles de Gaulle a uno zelante collaboratore che gli proponeva di fucilare tutti gli imbecilli. Fucilare gli imbecilli sarebbe una crudele e sanguinosa perdita di tempo, ma si potrebbe partire dall'eliminazione di tutte le idee corte e opportuniste approfittando di questo momento politico bizzarro governato da una coalizione di destra-sinistra all'ombra dell'estenuante guerra dei vent'anni fra antiberlusconismo e berlusconismo e mentre infuria la peste economica che per noi italiani è in parte strutturale e in parte genetica (le colpe di tutti, le colpe di pochi). Vediamo dunque di ripartire - heri dicebamus - da dove eravamo ai tempi della politica e chiederci seriamente che cosa voglia dire oggi essere di destra o di sinistra; e di farlo con parole ancorate ai fatti, non a sentimenti, risentimenti e rigurgiti di guerre civili da cortile.
Fate voi stessi la prova: definire destra e sinistra nei nostri tempi è sempre più difficile. È di sinistra difendere chi è già protetto o è di sinistra difendere chi non lo è affatto? I ricchi sono davvero tutti di destra e i poveri tutti di sinistra? Evidentemente no, ma perché? Tutto quel che sembrava chiaro e ovvio mezzo secolo fa, è oggi incerto. Non si tratta di principi morali, ma di risposte a fatti reali. Rispondere a quanto di nuovo la storia ci scarica addosso è il compito della politica visto che tutto cambia decennio dopo decennio. Questa è una necessità per tutti i Paesi, tutti i partiti, tutti i leader. Ma mentre gli altri Paesi o sono attrezzati o si attrezzano alla svelta, in Italia accade che la politica sia paralizzata dalla liturgia. Una liturgia decrepita senza radici profonde e condivise. Così, mancando di radici, la liturgia fa ricorso a una retorica vuota e perentoria: «Guai a chi osa mettere in discussione ciò che potrebbe essere discusso».
Io, per fare un esempio che coinvolge molti italiani che non osano dirlo, vorrei che fosse riscritta non solo la seconda parte, ma anche la prima parte della Costituzione, ponendo all'articolo uno come cardine della carta fondamentale la difesa della libertà e della dignità del singolo individuo, anziché l'enfatico e inefficace principio di una Repubblica fondata sul lavoro, che non significa assolutamente niente, dal momento che la Repubblica non può garantire il lavoro come invece può e deve (dovrebbe) garantire la giustizia, la politica estera e della difesa.
Ma come si può oggi sostenere una tale utile bestemmia - riscrivere tutta la Costituzione - di fronte al plotone dei sopraccigli arcuati, per non dire di Roberto Benigni che ha stabilito da solo dalla televisione del servizio pubblico che la Costituzione è meravigliosa e guai a chi si azzarda a toccarla? Eppure, sarebbe molto più utile tutelare davvero il paesaggio e il patrimonio culturale, piuttosto che dichiararlo con inutile enfasi nella carta costituzionale. Sono soltanto esempi. Il tempo però passa con lentezza e rende concepibili cambiamenti fino a ieri inconcepibili: quaranta anni fa essere a favore del presidenzialismo, anche nella forma francese meno drastica di quella americana (che pure funziona benissimo) era un'eresia «fascista». E poiché anche il vecchio materassaio Licio Gelli lo pensava, chiunque si azzardasse a parlare di presidenzialismo era ottusamente accusato di essere in combutta con la P2. Oggi sono presidenzialisti o semipresidenzialisti a milioni, in molti anche a sinistra. Ma la liturgia torva e frenante è ancora attiva per sostenere che no, non si devono avere leader, ma soltanto una politica amorfa e dal basso che si limiti al lodevole servizio di soddisfare le piccole esigenze territoriali dei cittadini, autobus e asili nido, che pure ci vogliono, per carità. Ma non vogliono che esistano uomini dotati della qualità di leader, cioè di quella specie di politici che non segue il fiume della gente, ma lo precede, ha idee e progetti prima, e su quelle idee e quei progetti sa chiamare a raccolta. Figli di un dio minore, una politica moderna, svelta e in grado di varare decisioni e governi ventiquattro ore dopo il voto, non possiamo ancora averla e dobbiamo contentarci di qualche commissione di saggi che decida al posto del popolo. Anche nella Germania feudale gli aristocratici sceglievano la moglie per i loro contadini e gliela davano già incinta affinché non avessero ad affaticarsi. Noi vorremmo affaticarci e scegliere da soli. Quanti altri decenni si dovranno aspettare per mettere mano a una democrazia liberale?
Da sette anni curo un blog, Rivoluzione italiana, in cui tutte le tendenze, i rancori, i pregiudizi, gli automatismi emotivi, le banalità e le genialità si producono e si riproducono secondo lo stesso eterno giro di specchi di un caleidoscopio meccanico. Di destra e di sinistra. Quel blog è per me un campione fedele di quel che bolle in pentola nel mio Paese: mi ha insegnato a misurare la rabbiosa confusione dei cittadini che ronzano in piccole spirali inutili come mosche in una bottiglia. Il conflitto politico, messo in ceppi si riduce a un confronto fra la più fiera banalità ed effetti speciali sempre uguali.
Gli effetti speciali più diffusi sono le urla e gli applausi retorici dei talk show in cui l'urlo recitato simula la conquista del consenso e alla fine vince lo scaricabarile in cui nessuno ammette propri errori o ruberie, nessuno nemmeno confessa «abbiamo rubato tutti», come fece trentatré anni fa il democristiano Franco Evangelisti, un eroe inconsapevole, nella storica intervista A Fra', che te serve? Su questa frammentazione gridata e noiosa agisce come collante la retorica liturgica della politica ereditata dai tempi della fine della seconda guerra mondiale.
La sinistra in genere con le liturgie archeologiche se la cava meglio della destra, officiando nel modo perentorio e compunto che le è congeniale: mai una traccia di distacco, non parliamo di imbarazzo o di un sospetto di ironia. La destra, al contrario, è fragorosa e individualista, più incline al fai-da-te, scarsa di guardaroba per i cambi di stagione della storia. Così, quando arriva al governo caricata di attese perfino della gente di sinistra che non ne può più della retorica, la destra scopre di non avere in magazzino una riserva di autonomia intellettuale, soccombe nei confronti televisivi, non ha il coraggio delle idee forti e universali e non sa nemmeno decidere al proprio interno che cosa sia liberale o illiberale.
Siamo davvero liberali, liberisti, libertari e proprio per questo anche libertini, o statalisti incipriati e imparruccati? Non si sa.
Nell'incertezza, meglio essere pronti a nuotare con la ciambella di salvataggio altrui, cosa che la destra tende a fare ogni volta che può, chiedendo scusa per la propria pochezza ideologica del resto dilaniata da radici che non stanno insieme, accettando spesso i riti della sinistra, le parole d'ordine della sinistra e adottando anche lo stesso sopracciglio severo e didattico, che ti insegna come stare al mondo.(1-continua)
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