Come minimo, per non dire gelido. Il segretario Pd sta alla finestra, aspettando le prossime mosse del premier. E la battuta che segue l'«era ora» non migliora la situazione: «Quando mi parlano di rimpasto mi vengono le bolle e scappo a Firenze».
Lo dice ben sapendo che un rimpasto (o meglio un rimpastino, che non debba passare per dimissioni e voto di fiducia) è probabilmente l'unica carta che Letta può provare a giocare per tentare di «incastrare» il segretario - attraverso la nomina a ministro di qualche suo fedelissimo - a sostegno del governo. «Davanti alla proposta di mandare qualcuno dei suoi al governo - ragionano i lettiani - Renzi sarà costretto a decidere, a dover dire perché sì o perché no e scoprire le carte».
L'ipotesi «staffetta» resta sul tavolo, ma gli ostacoli sono molti. Il primo è la razionale diffidenza di Renzi (istintivamente attratto, invece, dalle sfide ad alto rischio) per l'operazione. Che di certo, spiegano anche quelli tra i suoi che sono più tifosi del Renzi I, «non può essere fatta contro Letta, e quindi contro Napolitano». Un cambio della guardia tra premier e leader Pd può passare solo per un'intesa con Letta, che di sua sponte si dimetta e accetti un ruolo «di passaggio» nel governo (agli Esteri o all'Economia) per poi approdare alla Commissione Ue. E per una richiesta corale a Renzi, dal Quirinale alla maggioranza (e pezzi dell'opposizione), da Confindustria ai sindacati, perché prenda la guida del governo. «Io non chiedo niente, sono oggetto di molte pressioni, ma sono tranquillissimo. È Letta che deve dire cosa vuole fare. Trovo inaccettabile il tentativo di mettere in discussione il Pd, noi quello che dobbiamo fare lo stiamo facendo. In quel caso, mi sarebbe impossibile sottrarmi». Ma quel caso al momento non è dato: Letta non ha alcuna intenzione di dimettersi, e il patto da proporre a Renzi potrebbe se mai essere un altro: tentare un rilancio del governo, col pieno sostegno del Pd e con l'accoglimento nel programma delle proposte renziane (dal Jobs Act ai diritti civili), per arrivare alle elezioni europee con un po' più di slancio e vigore: la preoccupazione che ha spinto tutto il Pd, anti-renziani inclusi, a mollare Letta è proprio la paura che l'impasse del governo si ripercuota negativamente sul voto. Dopo le Europee e l'avvio del semestre Ue, Letta potrebbe farsi da parte per rendere possibili elezioni in autunno. In tempo per rientrare, da ex premier, nel gioco delle nomine comunitarie. «Potrebbe essere una via d'uscita onorevole per Enrico, e uno scenario accettabile per Matteo, che guiderebbe il centrosinistra al voto intestandosi le riforme», ragiona un renziano.
Per il sindaco il banco di prova principale resta comunque quello del passaggio parlamentare dell'Italicum, la prossima settimana. Due i passaggi più temuti: gli emendamenti che estendono fino a sei mesi il tempo concesso al Viminale per ridisegnare i collegi; e quelli che pospongono l'entrata in vigore della legge elettorale all'abolizione del Senato. A voto segreto, molti potrebbero essere tentati da modifiche che allontanino il più possibile lo spauracchio del voto. Ma difficilmente Renzi potrebbe accettare manovre trasversali destinate ad ingabbiarlo: come ha più volte promesso, uno «stravolgimento» dell'Italicum rischia di far saltare la legislatura. Ieri il sindaco era in Sardegna, con il candidato governatore Pigliaru.
Un bagno di folla come raramente si è visto nell'isola, che lui spera si traduca in un buon risultato elettorale. E ai sardi ha regalato una battuta che la dice lunga: «Voi siete fortunati, perché domenica potete votare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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