
I giudici della Cassazione saranno degli assi in diritto, ma Bernard Shaw non l'hanno letto. O, se l'hanno letto, non ne condividono certo l'opinione secondo cui «c'è una sola religione, benché ne esistano un centinaio di versioni». La Suprema corte, sul punto, la pensa infatti diversamente. Tanto da statuire che, in caso di separazione dei coniugi, i genitori non possono cambiare l'originario credo religioso del figlio minorenne. In altre parole il giudice può vietare al padre o alla madre di far partecipare i figli a riti confessionali diversi da quelli previsti dai dettami di fede cui i bambini sono stati educati precedentemente. Lo si evince da una sentenza con cui la prima sezione civile della Cassazione ha rigettato il ricorso di un padre contro il divieto, disposto nei suoi confronti dalla Corte d'appello di Milano, di far partecipare le proprie figlie, fino a quel momento educate al credo cattolico, alle Adunanze del Regno, alle quali egli prendeva parte da quando aveva aderito - dopo la separazione dalla convivente, madre delle bambine - ai Testimoni di Geova. Con la loro sentenza, i giudici di secondo grado avevano anche disposto che le minorenni passassero le principali feste religiose con la madre. L'uomo si era rivolto alla Cassazione per impugnare la decisione dei giudici d'appello, lamentando una violazione dell'articolo 19 della Costituzione, sul diritto di manifestazione della propria religione.
La Suprema Corte ha invece condiviso la sentenza di secondo grado, che «lungi dal negare e comprimere il diritto di professare la propria fede religiosa, ha adottato le prescrizioni più idonee per assicurare la corretta formazione psicologica ed affettiva delle minori».