Prima il messaggio via etere, inviato dai microfoni di Radio Anch'io: il tunnel della crisi «sta cominciando a illuminarsi». Poi, dispensata la dose d'ottimismo proprio nel giorno in cui la marea dei disoccupati italiani ha assunto proporzioni da tsunami, la toccata e fuga a Parigi per rinsaldare l'entente cordiale con François Hollande. Mario Monti, professione globetrotter. Ieri in Francia, oggi in Finlandia (tête à tête con l'iper falco Jyrki Katainen), quindi in Spagna allo corte di Mariano Rajoy. Sì, viaggiare: forse per non condividere la stessa aria con i partiti, o più probabilmente per rafforzare la posizione di Mario Draghi in vista della cruciale partita di domani, quando il presidente della Bce dovrà tradurre in pratica lo slogan «pronti a tutto per salvare l'euro» adottato dallo stesso premier italiano e dal presidente francese al termine della colazione di lavoro all'Eliseo.
Finita la visita, e messa in agenda un'altra bilaterale a Lione all'inizio di dicembre, Monti ricalibra la dose d'ottimismo: sì, è vero, c'è un «graduale schiarirsi delle prospettive europee», ma gli «esami non sono finiti» perché «la posta in palio», cioè la stabilità dell'Eurozona, è talmente «vitale per tutti» che non ci si può permettere nemmeno un «minuto di disattenzione». Di qui il richiamo ai governi europei ad attuare «rapidamente» le decisioni assunte dal Consiglio a fine giugno e a rendere «al più presto» utilizzabili le misure anti-spread.
Monti ha ragione. Non sono solo le cifre della congiuntura a ricordarci che l'economia reale è messa veramente male, ma anche la stessa evoluzione della crisi del debito sovrano. Nei giorni scorsi, qualche tassello di questa specie di rompicapo irrisolvibile sembrava essere andato a posto. Soprattutto grazie alla Germania, parsa più malleabile sugli strumenti di contrasto da adottare. Ieri però da Berlino è partito un telegramma vecchio stile: concedere la licenza bancaria al futuro fondo permanente Esm? Nein. Stop. Firmato, ministero tedesco delle Finanze. Una vera doccia fredda, soprattutto alla luce delle aperture manifestate in questo senso dal governatore della banca centrale austriaca, Ewald Nowotny. Tanto è bastato per spegnere la luce del rialzo sui mercati (-0,62% Milano) e rinvigorire sia lo spread Btp-Bund, risalito a 480 punti (465 lunedì), sia quello sui Bonos spagnoli (a quota 546). E i rendimenti sui decennali (oltre il 6% i nostri) ne hanno subito risentito.
In fondo, una reazione prevedibile. L'opposizione tedesca a trasformare l'Esm in un firewall inattaccabile (ma anche il primo passo verso la mutualizzazione del debito) fa cadere il doppio pilastro su cui, in base alle ipotesi circolate, la Bce potrebbe far leva per blindare definitivamente l'euro, difendere i Paesi sotto attacco e, nella sostanza, sconfiggere la speculazione. A questo punto, in assenza di un clamoroso dietrofront della Germania, resta in piedi una sola opzione: quella che prevede un intervento del fondo salva-Stati Efsf, che acquisterebbe bond sul mercato primario, mentre la Bce si incaricherebbe di comprare i Btp e i Bonos già in circolazione. Anche questa soluzione non sembra tuttavia piacere alla Bundesbank. Toccherà a Draghi convincere il capo della Buba, Jens Weidmann, nell'incontro che si terrà prima del vertice Bce di domani. Prima di allora, la Federal Reserve avrà già scoperto le proprie carte. Ma l'esito della riunione, che si conclude oggi, non è scontato. L'istituto guidato da Ben Bernanke è infatti spaccato tra chi vorrebbe agire subito e chi preferirebbe attendere almeno fino a settembre.
Nota finale: dopo aver quasi azzerato il proprio portafoglio di Btp nel 2011 (da 8 a 1 miliardo), la Deutsche Bank è tornata negli ultimi tre mesi ad acquistare i nostri bond (+29%, da 1,9 a 2,5 miliardi) tagliando invece del 35% l'esposizione verso la Spagna. Un segno di fiducia verso l'Italia.
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