RomaUn giudice esprime pubblicamente il suo convincimento su un procedimento a lui assegnato? Niente di male, si può fare. Lo dice la Cassazione in una sentenza firmata da un presidente di sezione, la seconda, che sull'argomento ha dimostrato di avere idee chiarissime e che con questa pronuncia sembra anticipare la sua autoassoluzione. Il giudice in questione è infatti quell'Antonio Esposito che un paio di giorni dopo aver confermato la condanna di Silvio Berlusconi per frode fiscale ha svelato in anteprima in un'intervista al quotidiano Il Mattino le motivazioni della sentenza, e che il «nostro» Stefano Lorenzetto già anni fa aveva sentito esprimere in pubblico giudizi trancianti sul Cavaliere.
È stato Esposito, infatti, a firmare con il relatore Sergio Beltrani, la sentenza con cui la seconda sezione della Cassazione ha rigettato la richiesta di ricusazione del gup Piergiorgio Morosini avanzata da uno degli imputati del processo sulla trattativa Stato-mafia sostenendo che il gup avesse in più occasioni manifestato la sua opinione sull'esistenza di contatti illeciti tra Stato e mafia, cioè sul tema che doveva giudicare. E lo ha fatto con una motivazione che suona davvero «preveggente» rispetto a quanto sarebbe poi accaduto a lui con l'intervista scandalo che gli è costata un procedimento davanti al Csm e un altro davanti alla Procura Generale della Cassazione. In sostanza gli ermellini sostengono che Morosini avrebbe fatto solo considerazioni di carattere generale e anche lì dove ha parlato della trattativa lo ha fatto solo a titolo di cronaca, senza dare per scontata la sua esistenza. E questo non avrebbe affatto pregiudicato la sua imparzialità, come già stabilito dalla Corte d'Appello di Palermo.
Un po' come accaduto con l'intervista ad Esposito. Solo che il presidente della seconda sezione (che nel processo sui diritti Tv presiedeva la sezione feriale) si è lasciato andare a sentenza già pronunciata, anticipando a mezzo stampa che Berlusconi era stato condannato perché sapeva della frode fiscale non perché non poteva non sapere, Morosini ha invece parlato mentre il processo era ancora in corso intervenendo tra l'altro a convegni, dibattiti e conferenze organizzati dalle parti civili. Nel suo caso è stato il legale dell'ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno, tra gli imputati del processo Stato-mafia, a lamentarsene chiedendo la ricusazione del gup che in più di un'occasione, tra l'altro anche in un libro, aveva espresso a suo dire il proprio convincimento circa l'esistenza di una trattativa illecita, più precisamente tra «pezzi di Stato» e «Cosa Nostra». Contestazioni non condivise dalla Cassazione. Per il presidente Esposito e il relatore Beltrani, infatti, Morosini aveva fatto bene a non astenersi e non c'era alcun motivo perché venisse ricusato. Il perché lo spiegano dopo aver dato ampio spazio a quello che in diritto si intende per «imparzialità e terzietà di un giudice» e marcando la differenza tra il «convincimento», che presuppone un'analisi ed una riflessione sui fatti oggetto dell'imputazione, e un «parere», che indica invece un'opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti e degli atti processuali. Per la Cassazione i giudizi negativi espressi da Morosini «su uno Stato che scenda a patti con organizzazioni criminali sono espressi in modo del tutto generico e privo di riferimenti specifici» ai fatti oggetto del fascicolo poi finito sulla sua scrivania.
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