Spendiamo tanto. Troppo. E abbiamo sempre l’acqua alla gola. La giustizia tricolore è una macchina scassata. Non funziona quella penale, va male quella civile, le aule sono intasate da milioni di procedimenti e i giudici assomigliano a quel bambino che voleva svuotare il mare con un secchiello. I dati - le analisi di Confindustria, Confartigianato, Banca d’Italia e Banca Mondiale - sono impietosi: basti dire che il 42 per cento dei detenuti è in custodia cautelare.
In poche parole, stanno in cella ma l’iter giudiziario è ancora in corso e potrebbero essere assolti. Anzi, per dirla con il paradosso formulato da Carlo Nordio, si entra in cella da innocenti e si esce colpevoli. Il governo Monti ha appena varato una norma per alleggerire la pressione nei penitenziari, ma si torna all’oceano di prima. Forse, e anche senza forse, si dovrebbe avere il coraggio di rivedere e limitare la mitica obbligatorietà dell’azione penale, intoccabile più dell’articolo 18. Intanto i codici si gonfiano con reati nuovi di zecca, le Commissioni - Grosso, Nordio, Pisapia - sfornano poderosi tomi che predicano nel deserto la depenalizzazione e poi vengono sigillati in un cassetto. Risultato: si aspetta alla lotteria per vedere come va a finire questo o quel procedimento; ogni anno 165mila fascicoli vanno in prescrizione, insomma la ruota gira a vuoto, con uno spreco per lo Stato di 84 milioni l’anno, calcolando prudenzialmente 521 euro a processo.
Quando preture e tribunali furono unificati, nel ’96, il procuratore di Napoli Agostino Cordova trovò migliaia e migliaia di faldoni abbandonati, come merce deperita, in qualche scantinato. «La spada della giustizia - spiegò amareggiato - è fatta di latta». Il tempo non ha lenito le ferite. Anzi. Nel 2008 qualcosa di analogo è accaduto a Bologna: sono saltati fuori 3.300 fascicoli di indagini in corso, chiusi a chiave in un armadietto e dimenticati. Ovviamente molti di quei reati, furti e ricettazioni, sono caduti in prescrizione.
Basta. Tempo scaduto. Non c’è più sabbia nella clessidra della giustizia. Si viaggia a velocità ridotta, a passo d’uomo. Eppure l’andatura rilassata non elimina gli errori, o, forse, fa venire ai giudici, che esaminano e riesaminano le pratiche, dubbi su dubbi fino a capovolgere i verdetti. Dalla colpevolezza all’innocenza, qualche volta, raramente, sul cammino inverso. Così ogni 12 mesi si affrontano nelle aule oltre 2mila procedimenti per ingiusta detenzione, o addirittura, per errore giudiziario. Quello che non dovrebbe mai accadere, perché viene scoperto a tempo scaduto, quando la sentenza era divenuta, come si dice, irrevocabile. Con il timbro della Cassazione. E invece capita che debba essere revocata, con tante scuse e con un assegno sostanzioso per gli anni passati dal malcapitato di turno in qualche carcere. È quel che si a delineando per un manipolo di disgraziati, ingiustamente spediti all’ergastolo per la strage di via D’Amelio, in cui morì Paolo Borsellino con la scorta. Nel solo 2011, secondo il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia, lo Stato ha erogato risarcimenti per 46 milioni di euro. Sul fronte del civile, l’ultimo governo Berlusconi e poi l’esecutivo Monti hanno alzato il muro della mediazione obbligatoria, per fermare alla partenza i troppi fascicoli che smaniano per entrare nelle aule. È ancora presto per tentare bilanci, intanto ci teniamo i cinque milioni e mezzo di fascicoli pendenti. Molte imprese straniere girano alla larga dal nostro Paese perché considerano i nostri tribunali come sabbie mobili in cui svaniscono gli investimenti.
Il governatore della Bce Mario Draghi, più sobrio, ha spiegato che una riforma seria del civile vale un punto secco del Pil. Del resto per recuperare un credito ci vogliono 1.210 giorni in Italia contro i 515 della Spagna, i 399 dell’Inghilterra, i 331 della Francia e i 300 degli Usa. Dovunque ci si sposti si rischia di cadere male: ci vogliono dieci anni, di media, per chiudere un fallimento e nove anni per una causa davanti alla giustizia tributaria. Il sistema è tarato male da tutti i lati: gli avvocati italiani sono 240mila. Una cifra monstre.
Quelli della provincia di Milano equivalgono a quelli dell’intera Francia. E Piercamillo Davigo, il dottor sottile del Pool, sottolineava che in Francia per ogni giudice operano 7,1 avvocati, da noi 26,4.
Un rapporto malato.E lo Stato, in versione Pantalone, spende molto e male: 7,5 miliardi e mezzo per procure e tribunali. Più cara di noi c’è solo la Germania che però sventola una bandiera a noi sconosciuta: quella dell’efficienza.
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