Bologna È una Pasqua mesta quella che affronteranno gli emiliani colpiti dal terremoto del 2012. Le tasche piene di promesse; ma le popolazioni delle province di Ferrara, Modena, Bologna e Reggio Emilia, ad oggi, non si sono viste consegnare nemmeno un soldo di quelli assegnati (finora a parole) dallo Stato, come spiega uno studio del Sole24Ore. Nel maggio scorso, il primo terremoto industriale che si ricordi ha colpito un'area di 800mila abitanti; un distretto produttivo che vale quasi il 2% del Pil nazionale. L'ultimo atto del commissario straordinario, Vasco Errani, è stata la richiesta della proroga dello stato di calamità al 31 dicembre. Ma il problema è a monte. Secondo la Ue i danni del sisma ammontano a 13 miliardi, 12 solo in Emilia. Il governo è intervenuto con la Cassa depositi e prestiti che ne ha stanziati 6 di finanziamento a fondo perduto per la ricostruzione e con altri 6 di moratoria fiscale chiusa a dicembre. Le domande presentate, però hanno visto l'assegnazione di soli 750 milioni.
È questo il punto: la burocrazia e l'incapacità di dare risposte immediate. In Italia manca una legge nazionale sulle calamità naturali. Durante la campagna elettorale se n'è sentito solo parlare, mentre l'Emilia si aggrappava alla sua operosità. Poi sono arrivati solo moduli complicati per richieste impossibili. C'è un dato, infatti, che crea una sorta di «anomalia emiliana»: per ripartire subito, gli imprenditori dell'area colpita dal sisma (quasi 3mila chilometri quadrati) hanno messo mano al portafogli, chiesto aiuto alle banche e fatto ripartire le attività con fondi propri. Fuori dai capannoni, i lavoratori hanno ripreso in mano ordini e consegne da scrivanie nei parcheggi o nelle aziende concorrenti che hanno offerto aiuto. Tutto, mentre il governo faceva muro. «All'inizio - ricorda un imprenditore del modenese - a Roma, era tutto un no». No alla richiesta di rinvio dei versamenti fiscali per le imprese, no alla deroga del patto di stabilità per i comuni.
Ma l'80% delle attività è ripartita lo stesso e ora bisogna dimostrare i lavori pagati di tasca propria. Ma Roma tira dritto. I 6 miliardi stanziati per la ricostruzione stanno lì mentre il meccanismo «Sfinge» (il sistema elettronico delle domande delle imprese) e il «Mude» (Modello unico digitale per l'edilizia) per abitazioni, negozi e uffici sono un flop. Poche le pratiche liquidate. Per non parlare di quelle imprese che non hanno subito danni pur trovandosi nell'area interessata, che devono comunque eseguire i lavori per ottenere l'agibilità ma che non hanno diritto ad alcun rimborso. Dal governo ancora si aspettano i fondi, circa 50 milioni, destinati alla ricerca. Questi sono i distretti del biomedicale, del ceramico, del manifatturiero di filiera, dell'agroalimentare.
«È mancata la fiscalità di vantaggio», è il ritornello che echeggia in Emilia mentre dei circa 30mila sfollati molti stanno ancora nei moduli abitativi temporanei. Camminare a Cavezzo o Mirandola è un'esperienza che qualcuno dovrebbe fare.
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