RomaRenzi assicura che non ci sarà una nuova manovra, ma i dati sul Pil gli danno torto. Il viceministro Enrico Morando auspica che per coprire il bonus da 80 euro si tassino le pensioni d'oro e il Nuovo centrodestra minaccia l'uscita dalla maggioranza. Giornata nera per il premier alle prese con il Pil che cala più del previsto, i conti di fine anno che si complicano di giorno in giorno e, da ieri, anche strani segnali che arrivano dalla maggioranza e dal suo partito.
Proprio mentre il premier pensava di avere archiviato il caso Genovese, la maggioranza è andata sotto sul decreto casa in una votazione nell'Aula della Camera. Tre votazioni senza il numero legale e alla fine la decisione di mettere la fiducia. Assente un quarto dei deputati Pd e un terzo di quelli Ncd, il 60 per cento di quelli di Scelta civica.
Forse i deputi democratici sono in vacanza, come sostenevano i parlamentari del M5S. Oppure quello arrivato ieri a Renzi è un messaggio cifrato proveniente soprattutto dal suo partito. Il segno di mal di pancia legati al voto sul Genovese.
Finale infuocato per una giornata che Renzi aveva aperto cercando di spegnere l'incendio provocato giovedì dal dato Istat sul Pil, tornato negativo nel primo trimestre. «Escludo assolutamente una manovra correttiva», ha detto intervenendo a Radio 24. «Le manovre - ha aggiunto - si fanno per mettere nuove tasse ed invece noi, dando 80 euro a 10 milioni di italiani, facciamo ridistribuzione».
Attenzione alle parole, «redistribuzione» significa che si tassa qualcuno per alleggerire la pressione su qualcun altro. E un esempio di cosa possa significare l'ha dato nel pomeriggio il viceministro Morando. Durante un'audizione ha auspicato «un intervento in favore delle pensioni più basse» coperto «attraverso misure di solidarietà interne al sistema previdenziale, per esempio chiedendo un contributo a pensioni di importo estremamente elevato». In sostanza, altre tasse, anche se in stile Renzi: a danno di una categoria, quella dei pensionati d'oro, poco popolare.
Non ci sta il Ncd che, tramite Sacconi, capogruppo del Senato ed ex ministro del Lavoro del governo Berlusconi, ha mandato un messaggio chiaro: «Non potremmo rimanere al governo un minuto oltre quella tassazione delle pensioni che egli ha ipotizzato». È fresca la memoria del primo tentativo di tagliare le pensioni d'oro nella spending review, che poi si è rivelato un prelievo sulle rendite di 2.500 euro lorde, che corrispondono a un assegno reale di 1.700 euro.
Il fatto è che l'operazione del bonus per i redditi sotto i 24mila euro ha già un costo difficile da sostenere. Il conto per il 2015, da pagare con la legge di Stabilità era già a 20 miliardi prima del dato Istat, considerando l'operazione del governo sulle buste paga e altre spese indifferibili. Se il trend del Pil dovesse continuare come nel primo trimestre, il governo sarebbe costretto a riportare il deficit sotto il tetto del 3%. Come minimo servirebbero 1,6 miliardi (nel caso di uno sforamento dello 0,1%). Una mezza ammissione è arrivata dal sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti. «È evidente che se il trend continua a rimanere sotto le stime presenti nel Def i conti vanno rifatti, questo è oggettivo».
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