Roma - Nascosto tra le pieghe del decreto sul bonus Irpef, c'è un regalo ben più impegnativo degli ottanta euro al mese per la classe media. Il «regalo» del governo Renzi (in alcune buste paga è addirittura spuntato il nome del premier) ai lavoratori dipendenti tra 8 e 24 mila euro è costato poco piu di sei miliardi nell'anno in corso. Quello dedicato alla classe politica locale, in tutto potrebbe pesare sui conti pubblici 16,7 miliardi. Si tratta in realtà di partite di giro tra enti pubblici. Soldi concessi a regioni e comuni indebitati, senza dimenticare quelle superfetazioni del potere politico locale che sono le società partecipate. Ex municipalizzate nate soprattutto negli anni Novanta per dare una parvenza di efficienza privatistica ai servizi pubblici, rivelatesi presto parcheggi per politici trombati e parenti. Centri di spesa fuori controllo, carrozzoni liberi dai vincoli del pubblico.
Il decreto è appunto quello con le «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», perno di tutta la campagna elettorale del Pd e del premier Matteo Renzi. Il provvedimento che fissa il bonus in busta paga a partire da maggio per i lavoratori con un reddito fino a 24 mila euro.
I capitoli in questione sembrano molto un corpo estraneo nel provvedimento. Sono intitolati cripticamente «Anticipazioni nei confronti degli enti decentrati» e «Concessione mutui alle regioni». Stanziano rispettivamente 8 e 8,7 miliardi.
Sembrano misure per facilitare la restituzione dei debiti della pubblica amministrazione con i privati. Ma leggendo bene il primo degli articoli si scopre, ad esempio, che c'è un incremento di due miliardi al fondo per il «pagamento dei debiti da parte delle società partecipate da enti locali» e anche dei soldi che gli stessi enti locali devono alle società partecipate. In sostanza, lo Stato mette di tasca sua i soldi che gli enti pubblici devono alle ex municipalizzate, che sono di loro proprietà. Non è difficile vederci un regalo alla sinistra e in particolare al Pd, partito ancora strutturato e ramificato in tutti i gangli del potere locale. Una misura in controdendenza rispetto ad altre scelte di Renzi, per ora solo abbozzate nel Def, su sanità e assunzioni, che sembrano avere l'obiettivo di ridimensionare il potere delle classi politiche locali.
Nel decreto c'è anche la ristrutturazione dei debiti delle regioni. Rinegoziazione di mutui e riacquisto di titoli emessi dalle regioni. Un aiuto alle giunte che sono ricorse a strumenti come le obbligazioni per finanziare spesa pubblica. C'è anche la possibilità di chiudere i derivati. Ma a condizioni difficili da realizzare.
Il costo del salvataggio di sindaci, governatori e dei campioni del capitalismo municipale, è rispettivamente di 8 e di 8,7 miliardi. Che, si premura di assicurare il governo nel decreto, non peseranno sui conti pubblici. Nel senso che non finirà nel conto del debito pubblico, né tantomeno in quello del deficit, già a rischio sforamento. Tanto ottimismo può solo essere motivato dalla temporanea distrazione di Bruxelles dovuta alle elezioni. Perché c'è il rischio che per la Commissione europea le misure del decreto siano considerate un sostegno alle autonomie locali e alle imprese da loro partecipate.
Più tecnicamente, lo stesso provvedimento spiega che si tratta di partite contabili in «conto capitale». Ma proprio per questo, Bruxelles potrebbe chiedere all'Italia di considerare quei 16,7 miliardi come deficit, facendo saltare i già precari equilibri dei conti italiani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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