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Graziato il presentatore omicida L’accusa: «Troppo pochi 14 anni»

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MilanoAlla fine la condanna, puntuale per Alessandro Cozzi è arrivata, 14 anni, contro i 16 chiesti dal pm, per aver ucciso a coltellate il suo socio causa un debito non onorato. «Condanna troppo mite» hanno subito accusato i famigliari della vittima che contestano la mancanza di «aggravanti» a un delitto consumato con ferocia e, forse, premeditazione. Ma in ogni caso per Cozzi i conti con la giustizia sono tutt’altro che chiusi. Lo stesso pubblico ministero gli contesta un secondo omicidio, anzi un primo, perché commesso 14 anni fa: sempre un socio, sempre ucciso a coltellate sempre per questioni di soldi.
Un fine imprevedibile per quello che fino a un anno fa era uno stimato educatore, laureato in lettere, dal 1990 al 1994 segretario generale del Faes, l’Associazione delle famiglie e scuola, organismo dell’Opus Dei, noto personaggio televisivo. Per anni infatti aveva condotto insieme sui canali Rai a Maria Rita Parsi «Diario di famiglia», programma di un certo successo. Una specie di dottor Jekyll che il 29 marzo del 2011 si trasformò nel feroce mister Hyde. Quella sera infatti si recò in via Antonelli da Ettore Vitiello, 58 anni, con cui aveva organizzato corsi di formazione professionale per conto della Regione, incassando 34mila euro. Vitiello chiedeva i suoi 17mila, nell’occasione minacciò anche di denunciarlo scatenando la furia di Cozzi che lo massacrò con almeno 40 fendenti. «Mi ha puntato contro il coltello, mi sono difeso, gliel’ho strappato poi ho perso la testa» cercò di difendersi.
Ieri dunque la sentenza, arrivata dopo il rito abbreviato, istituto «premiale» che prevede la riduzione di un terzo della pena. L’omicidio volontario parte da 21 anni, meno sette fa 14, nonostante il pm Maurizio Ascione ne avessi chiesti 16. «L’hanno trattato con i guanti. È una pena inadeguata - ha commentato l’avvocato Gaetano Pecorella, che assiste la famiglia Vitiello -. C’erano infatti le aggravanti della crudeltà, per le tante coltellate, la premeditazione, perché Cozzi non trovò il coltello sul posto ma se lo portò dietro e inoltre attese l’uscita dei colleghi di Vitiello, e i futili motivi, perché l’imputato ha ucciso per poche migliaia di euro».
Ma le vicende giudiziarie di Cozzi non sono finite, perché dal suo passato è emerso un altro socio morto, Alfredo Capelletti, trovato cadavere nel suo ufficio, la domenica 13 settembre 1998, nel suo ufficio di via Malpighi. Anche Capelletti lavorava nel campo della formazione professionale e aveva Cozzi come collaboratore. Una relazione di lunga data, iniziata in oratorio dove si erano conosciuti, essendo entrambi ferventi cattolici. Una rapporto poi incrinato perché la vittima lo aveva accusato di concorrenza sleale e di furto. Cozzi andò a prenderlo a casa, lo portò in ufficio per un chiarimento, poi avvertì la sua famiglia che l’uomo sarebbe tornato più tardi. Invece più tardi fu trovato dalla figlia con un coltello in mano.
Cozzi fu sospettato a lungo ma alla fine la procura archiviò il caso come suicidio: Capelletti si sarebbe pugnalato con la destra e avrebbe poi estratto la lama con la sinistra. Ricostruzione contestata dai famigliari sia per questioni «religiose» sia perché la vittima aveva avuto un ischemia che gli aveva fortemente indebolito la destra, con la quale non avrebbe potuto colpirsi con forza.
L’impegno della moglie riuscì a far riaprire il processo nel 2.000, ma arrivò una seconda archiviazione. E il caso andò lentamente nel dimenticatoio.

Fino all’arresto di Cozzi, quando anche ai giudici quella «coincidenza» sembrò a dir poco sospetta. Il pm Ascione ha riaperto il caso, chiesto nuove perizie, soprattutto sul coltello che, essendo stato custodito in modo ideale, potrebbe conservare ancora tracce di dna o impronte digitali dell’assassino.

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