Greganti nega anche stavolta: vendevo legname

Il "compagno G" respinge le accuse. E il manager Paris: "Ho fatto degli errori"

Greganti nega anche stavolta: vendevo legname

Milano - Quello che chiede scusa, quelli che negano tutto, quello che dice che «forse ho fatto degli errori». Chiusi tutti nello stesso carcere, nel tetro cemento di Opera, ma ovviamente in celle diverse, gli arrestati dell'indagine su Expo affrontano ieri il primo faccia a faccia con i giudici, e ci vanno in ordine sparso. La sensazione è che gli arresti di giovedì scorso - nonostante da tempo si parlasse di tempeste in arrivo su Expo - abbiano colto di sorpresa i diretti interessati. E quindi non c'è traccia di una linea difensiva comune.
Come era prevedibile visto il personaggio, il più energico nel difendersi è stato Primo Greganti. Il «compagno G» ha respinto tutte le accuse, spiegando al giudice preliminare Fabio Antezza che il suo ruolo nella vicenda è stato clamorosamente frainteso, perché lui si occupa solo di case in legno. E che il suo unico interesse nei confronti di Expo erano i lavori per alcune sedi minori, destinate a essere realizzate in materiali naturali. Greganti, spiega il suo legale Roberto Macchia, ha negato di «avere preso soldi e interferito in maniera illecita negli appalti», spiegando che dopo i guai di Tangentopoli «si occupa della promozione della filiera del legno» cercando «imprenditori interessati alla realizzazione di immobili in legno e di seguire tutta questa filiera, dalla lavorazione del legno alla fabbricazione degli immobili, tenendo conto che anche per l'Expo ci saranno padiglioni così realizzati».
Le poche conversazioni di Greganti intercettate potrebbero essere compatibili con questa versione: ma il problema, per il «compagno G», sono le chiacchierate assai più imbarazzanti di Gianstefano Frigerio, suo collega di sventure ai tempi di Mani Pulite, che gli attribuisce un ruolo rilevante nel rappresentare gli interessi delle cooperative rosse per Expo e altri appalti. Ieri anche Frigerio si è proclamato innocente, ma la sua posizione si presenta più difficile da difendere.
Tra gli arrestati che invece qualcosa ammettono, il primo posto va senz'altro a Sergio Cattozzo, ex segretario regionale dell'Udc in Liguria: che se non altro conferma che il «pizzino» che si era nascosto nelle mutande al momento dell'arresto era il rendiconto delle somme incassate. «Ho chiesto scusa alla Guardia di finanza e chiedo scusa anche a lei», dice Cattozzo al giudice. Motivazioni e destinazioni delle mazzette le spiegherà poi con calma ai pubblici ministeri. La «materialità dei fatti», ovvero il passaggio di quattrini, ammette anche il costruttore Enrico Maltauro, l'unico imprenditore accusato di fare parte della cupola: per lui, d'altronde, era difficile negare le consegne di buste immortalate dalle telecamere. É possibile che voglia sostenere di avere pagato Frigerio e Cattozzo in veste di consulenti o lobbisti, e non come collettori di tangenti.
Infine, l'unico pubblico ufficiale arrestato, il direttore acquisti di Expo Antonio Paris.

Ha ammesso di «avere fatto errori» e passato informazioni riservate, ma nega anche lui di avere fatto parte della Cupola. E ha annunciato di essersi dimesso dalla carica perché «ha sempre creduto nel progetto Expo e quindi ci tiene che vada avanti senza intralci».

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