Diciamo che ci ha provato e che gli è andata male. Il castigacasta è stato castigato. E non da uno qualunque, ma dal suo più acerrimo nemico: l'Agenzia delle Entrate. Nello stesso giorno in cui, per la prima volta da mesi, il movimento di Beppe Grillo scende sotto quota 20%, perdendo oltre un punto e mezzo, la dissidente bolognese Federica Salsi accusa il comico di essere «cattivo e violento» e il consigliere ferrarese espulso dal movimento, Valentino Tavolazzi scrive che Grillo e Casaleggio «vogliono gestire tutti i fondi parlamentari del M5S», il Fisco gli scaglia un'altra tegola sul capo. Niente esenzioni. (Anche) Beppe Grillo, come tutti, deve pagare l'Irap (Imposta regionale sulle attività produttive).
La storia è questa: tra il 2006 e il 2010 il leader dei grillini ha pagato oltre mezzo milione di euro di tasse per i suoi show. Grillo, che ha sempre polemizzato contro l'iniquità della tassazione italiana, sostiene di aver esercitato la «propria attività professionale di artista mediante lo svolgimento e interpretazione personale di performance teatrali originali, scritte ed elaborate dallo stesso autore in modo del tutto personale», utilizzando per l'allestimento delle stesse una società esterna - la Marangoni spettacolo Srl - «in alcun modo collegata al ricorrente». Insomma, l'artista ligure dice di fare tutto da solo, nel suo studio della villa di Sant'Ilario, e poi di appaltare l'allestimento degli spettacoli a collaboratori occasionali che con lui non hanno nulla a che fare.
Per questo, nel gennaio del 2011, il comico ha intentato causa contro l'Agenzia delle Entrate per chiedere che gli venissero restituiti i soldi. Ma il Fisco non ha sentito ragioni: deve pagare perché la sua è «un'autonoma organizzazione». E anche la commissione tributaria di Genova la pensa allo stesso modo. Il 14 novembre è arrivata la sentenza: «I 577mila 296 euro di Irap vanno versati perché le attività dei dipendenti di Grillo hanno carattere continuativo e non occasionale, essendo riscontrabili in ogni annualità d'imposta». A pesare sulla decisione sono sia gli importi dei beni strumentali acquistati sia i costi per i collaboratori. Sotto il primo aspetto, se alcuni di essi (pianoforte e attrezzature stereo) sono stati ritenuti dai giudici «riconducibili all'indispensabile supporto all'attività creativa», non altrettanto può dirsi per quei beni (descritti come «macchine elettroniche» acquistati negli anni 2005 e 2007 per 10.656,60 euro) «che paiono eccedere il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività». Niente soldi indietro, dunque.
Due giorni dopo, guarda caso, sulla homepage del Movimento Cinque Stelle è comparso un post di tal Marino Mastrangeli, candidato senatore grillino, dal titolo: «Aboliamo l'Irap, l'imposta RAPina che tassa imprese anche in perdita e penalizza chi ha più lavoratori», in cui si preannuncia la presentazione nella prossima legislatura, tramite i parlamentari grillini, di un progetto per eliminare questa tassa.
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