RomaO capolista o niente: la rinuncia alla candidatura alle Europee di due nomi di peso come Michele Emiliano e Giusi Nicolini fa parecchio rumore, nel Partito democratico. E Grillo ne approfitta per lanciare l'ennesima bordata contro l'avversario che lo ossessiona e le sue capolista definite, con scarsa originalità, «veline».
Il sindaco di Bari era andato a letto martedì sera tranquillo di risvegliarsi alla guida delle liste del Sud, anche perché «per un mese e mezzo ho girato l'Italia dicendo che lo avrei fatto, dopo che Renzi me lo aveva chiesto», ai tempi in cui fu necessario che Emiliano rinunciasse a fare il ministro. Ieri, invece, ha rinunciato a fare l'europarlamentare (tenendosi però pronto per la partita del prossimo anno, quando si candiderà a governatore della Puglia). «Renzi», racconta con una punta di sarcasmo, «è specializzato in elettrochoc, alle due di notte mi è arrivato il messaggino che diceva che c'era stato un cambiamento. A questo punto non c'è bisogno che mi candidi». Anzi, aggiunge con perfida soavità: «Se mi candido sono costretto a togliere voti alle donne, e non voglio». Come dire: le tue capolista me le mangio in un boccone. Bye bye Emiliano: il Pd di Puglia è in subbuglio contro Roma e nel Pd c'è chi è molto preoccupato per la defezione di una macchina da voti come il sindaco, ma non il premier. «La gente voterà Pd perché c'è Renzi, non per gli altri candidati», assicura un fedelissimo.
Anche Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa e simbolo dell'emergenza immigrazione, fa un passo indietro dopo che le faide sicule del Pd han fatto finire al suo posto la magistrata ex assessore Chinnici, sconfiggendo la volontà del premier che puntava su Giusi. «Domenica scorsa - racconta Nicolini - dopo lunga riflessione e insistenti inviti, ho accettato di candidarmi come capolista con il Pd. Ho ritenuto che fosse una scelta dal forte valore simbolico, un riconoscimento per Lampedusa e la mia comunità. Ma nella direzione nazionale del Pd sono prevalse altre logiche che privano di significato la mia candidatura». Riflessione amara sul Pd siciliano, le sue «polemiche interne che non mi appartengono» e le sue guerre per bande che sicuramente avrebbero fatto fuori, col gioco delle preferenze incrociate, una candidatura «anomala» scivolata dal primo al terzo posto.
A Roma, intanto, smaltiscono in silenzio la propria furia il franceschiniano David Sassoli, che era certo di essere capolista e si è visto soppiantare dalla renziana Simona Bonafè, e Guido Milana, europarlamentare uscente fatto fuori dall'asse ex Ppi-dalemiani della Capitale per promuovere al suo posto Enrico Gasbarra, che nelle loro speranze (certo non in quelle di Renzi, però) dovrebbe poi fare il balzo come candidato sindaco di Roma.
Approfittando del caos liste, Grillo prova a picchiare su Renzi col consueto stile, diffondendo un fotomontaggio delle quattro capolista (non la Chinnici, per timore della toga) in déshabillé, con la scritta «Quattro veline e un Gabibbo». Una delle quattro, la giovane Picierno, infilza il vecchio comico via Twitter: «Ci sentiamo il 26 maggio, Beppuzzo. E l'unica (carta) velina che riconoscerai sarà quella utile a asciugarti i lacrimoni».
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