Guai a trasformare un fesso in martire

Il professor Becchi evoca la violenza, ma è l’ennesimo sproloquio eversivo di un docente pagato dallo Stato

I nvestito da una polemica rovente, il professor Paolo Becchi attenua, spiega, cavilla ma non ritratta. Afferma che quando aveva pronunciato, alla trasmissione radiofonica La Zanzara, la frase ormai famosa «non lamentiamoci se la gente prende i fucili», stava scherzando (non se n'era accorto nessuno). Tanta gente non ha preso i fucili ma se l'è presa con lui, con chi gli ha affidato una cattedra nell'università di Genova e con quel Movimento 5 Stelle che non aveva avuto nulla da ridire - fino a ieri - sulle vivaci esternazioni del barbuto filosofo. Becchi ha ripetuto d'essere un fiancheggiatore e non un militante del partito di Beppe Grillo: subito aggiungendo che l'ex comico e il suo guru, Casaleggio, sono stati costretti a prendere le distanze dalle sue ipotesi minacciose. Lasciando intendere che, senza le pressioni di forze oscure della reazione, i Cinquestelle gli avrebbero dato non una ma mille ragioni. Chi invece ha dissentito con convinzione è il rettore dell'ateneo genovese, Giacomo De Ferrari. Secondo il quale «bisognerebbe pensarci bene prima di parlare, soprattutto quando si parla da professore e non da analfabeta che magari non si rende conto di ciò che dice».

In realtà molti professori non si sono resi e non si rendono conto di ciò che dicono o, rendendosene conto, lo dicono ugualmente. Nelle università italiane gli esperti della predicazione rivoluzionaria sono sempre esistiti, e hanno incassato stipendi tratti dalle tasche dei moderati. Qualche professore si è particolarmente distinto. Non mi riferisco a Concetto Marchesi - tempi di lotta resistenziale -, ma a Toni Negri, fiore all'occhiello dell'Università di Padova, e a Giambattista Lazagna arrestato nel 1974 - per ordine del giudice Gian Carlo Caselli - quale sospetto d'adesione alle Brigate Rosse. Le accuse caddero e Lazagna divenne docente di diritto nell'università di Urbino.

Per moltissimi italiani - me compreso - Paolo Becchi è il tipico esponente d'una intellettualità velleitaria, arrogante, sproloquiante e pagata dall'infame Stato. Fosse per me eversori di serie C come quelli del passato e del presente scolastico non li metterei a insegnare nemmeno in una scuola materna. Ma, sapendo chi sono e come sono, qualcuno ha regalato loro una cattedra e allora non affetti costernazione per ciò che dicono, chiedendo magari un intervento d'imperio che impedisca loro di dirlo. Bisognava pensarci prima. A questo punto ogni azione autoritaria invaderebbe il terreno minato dei grandi principi, solleciterebbe gli interrogativi di sempre. È lecito tappare la bocca a chi esprime idee pericolose e magari ignobili senza passare ai fatti? Certo il professor Becchi, rivoluzionarietto della mutua, meriterebbe che lo si zittisse. Ma chi simpatizza per lui avrebbe la vita facile nello stracciarsi le vesti per l'attentato alla libertà, per la repressione dei poteri forti, per l'ipocrisia di un establishment che è debole nel combattere i mali d'Italia ma è muscoloso nel prendersela con gli oppositori. Paolo Becchi martire. Discorsi cuciti con il filo grosso questi, lo so benissimo. Ma anche discorsi che possono far presa in un momento di rabbia diffusa. Ci sono già le Boldrini e i Vendola, oltre che i Beppe Grillo, pronti a intonare le giaculatorie aggressive e virtuose nelle quali la sinistra è specialista. L'Italia ha abbastanza rogne, per carità, evitiamole quella d'una diatriba sui detti non d'un maestro, non d'un eversore, d'un imitatore dei cattivi e seri maestri e degli autentici eversori.

Potrà anche capitare che alle lezioni di Paolo Becchi ci sia d'ora innanzi una vera folla: per la curiosità di vedere all'opera, in un'aula prestigiosa, un robespierrino de noantri, uno degli innumerevoli robespierrini che ritengono di potere spiegare come e dove andrà il mondo, che evocano i fucili - lo fece anche Bossi nei suoi anni ruggenti - e che, se le chiacchiere rendessero, sarebbero miliardari. Invece devono accontentarsi di molto meno, magari di cinque stelle. Cadenti.

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