Tra i democratici fuggi fuggi a tempo scadutoIl caso L'alibi: «Ma non aveva la tessera»È gara a scaricare l'ex primo cittadino «modello». Serracchiani: non poteva proseguire

È gara a scaricare l'ex primo cittadino "modello". Serracchiani: non poteva proseguire

Tra i democratici fuggi fuggi a tempo scadutoIl caso L'alibi: «Ma non aveva la tessera»È gara a scaricare l'ex primo cittadino «modello». Serracchiani: non poteva proseguire

RomaTriste lo spettacolo di un partito, il Pd, che abbandona un suo uomo su una zattera alla deriva nella laguna. Triste, solitario e finale, un fuggi fuggi fuori tempo massimo, ancor più brutto perché inutile. Ancor più squallido perché rivolto a chi come Giorgio Orsoni, ormai ex sindaco di Venezia, era additato fino a qualche mese fa come modello gestionale, a chi era stato proposto per una ricandidatura liscia come l'olio nel 2015 e che invece ora è quello «che la tessera del Pd, badate bene, non l'ha mai avuta», quello che «rappresenta il peggio della politica». No, a Orsoni nel giorno delle sue dimissioni nemmeno questo spettacolo è stato risparmiato.
Finisce male il rapporto con la politica dell'avvocato sessantasettenne che nel 2010 proprio il Pd implorò di candidarsi contro Renato Brunetta, e che subisce anche l'oltraggio di Wikipedia, su cui per qualche ora un'anima bella così corregge le prime righe della biografia: «Giorgio Orsoni (Venezia, 29 agosto 1946) è un ladrone delinquente e corrotto italiano, sindaco di Venezia dall'8 aprile 2010 al 13 giugno 2014». Umorismo acido, che però indigna meno di alcune parole che arrivano dal Nazareno. Vedi quelle che precedono di poco l'annuncio delle dimissioni e in qualche modo le argomentano, firmate da Debora Serracchiani e Roger De Menech, rispettivamente vicesegretario nazionale e segretario veneto del Pd: «Siamo umanamente dispiaciuti per la condizione in cui si trova Orsoni», pelosa premessa alla «convinzione che non vi siano le condizioni perché prosegua nel suo mandato». Copia-e-incolla delle dichiarazioni rilasciate poche ore prima dal senatore dem Francesco Russo alla Stampa, compresa la non petita excusatio: «Non ho nulla contro la persona, credo anzi che non abbia intascato nulla per sé. Ma a me interessa, e su quello giudico, che Orsoni abbia patteggiato una pena a quattro mesi ammettendo una responsabilità che lo rende incompatibile con la carica di sindaco. Credo che il Daspo evocato da Renzi sia l'unico strumento per testimoniare che noi, come Pd abbiamo chiuso con ogni possibile cedimento personale». E ad addio pronunciato ecco la soddisfazione di Alessandra Moretti, una delle più critiche contro Orsoni nei giorni scorsi: «Il passo indietro di Orsoni è un importante segnale di chiarezza e di opportunità politica: bene ha fatto il sindaco a rassegnare le sue dimissioni».


Il fatto è che Orsoni ha molte colpe: non è interno al Pd, ha patteggiato, se l'è cantata, ha definito «superficiale e farisaico» il partito del 40 per cento. «Le critiche al Pd del sindaco mi trovano consenziente, riguardano non solo vecchie strutture ma anche renziani», ammette Felice Casson, senatore dem. Parole isolate in un partito barricato nell'autodifesa.

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