I due volti di Deborah, portavoce e poetessa

Sul suo blog scriveva in versi ma in politica non teme di andare allo scontro

Ora che Deborah Bergamini torna in auge con la nomina a responsabile comunicazione della resuscitata Fi ci si chiede come finirà questa volta. La domanda maliziosa corre sulle labbra degli anziani di memoria lunga perché per i giovani quadri di piazza in Lucina (sede di Fi) l'interrogativo è un altro: «Ma d'ando' cacchio è uscita questa?».

La quarantaseienne Bergamini, nonostante sia nel fiore dell'età politica, è una vecchia conoscenza del berlusconismo. Essendo però defilata da anni, è comprensibile lo stupore per l'affidamento improvviso di un compito di grande visibilità. Per capire, bisognerà ripercorrerne la carriera. Prima, però, vediamo com'è giunta la promozione dei giorni scorsi.

Deborah ha le carte in regola per il ruolo di portavoce. È giornalista professionista, ha lavorato come cronista in Italia e all'estero, è stata manager Rai, ha una bella inflessione toscana che la natia Viareggio le ha regalato e che Firenze, dove ha fatto l'università, impreziosito. Inoltre, sa le lingue (inglese, francese, spagnolo), materia in cui si è laureata, ha un linguaggio essenziale e un tono tagliente che sono un atout nella polemica politica ed è, infine, una bella donna elegante che tiene alto il vessillo della grazia muliebre del centrodestra.

Ma ciò che ha davvero pesato nel balzo di carriera è che Bergamini era insoddisfatta della sua posizione in Fi e tanto ingrugnata da meditare, pare, il trasloco da Angelino Alfano. Al che il Berlusca, intenzionato a congelare sine die tutte le nomine, si è precipitato a fare un'eccezione per lei. Così, l'ha promossa a un incarico che, esulando dal vero e proprio organigramma di partito, ha il sapore di un omaggio ad personam per ammansire la tigre che cova nell'affascinante Deborah. In via generale, per spiegare questa galante premura, va detto che la fuga di una donna dal partito genera nel Cav un dolore triplo rispetto all'abbandono di un uomo, come si è visto dall'indifferenza con cui ha assistito alla diaspora dei molti maschi di Ncd. Nei riguardi di Deborah, questo atteggiamento possessivo è elevato al cubo.

Bergamini ha un carattere volitivo e ambizioso. In Toscana, la ricordano da ragazza come scatenata gruppettara di sinistra. Fu il giornalismo a restituirle una fisionomia decente. Fece tirocinio in alcune tv locali, la gavetta alla Nazione, per approdare trentenne (1997) a Londra come cronista della tv americana Bloomberg. A Londra conobbe il Cav che era costì per incontrare Margaret Thatcher. Deborah, sostituendo una collega indisposta lo intervistò per la sua tv. Un anno dopo, nel 1999, troviamo Bergamini nella segreteria del Cav. Nel 2001, è con lui a Palazzo Chigi, per non ben definiti incarichi nella comunicazione. Da questa indefinitezza, unita alla tendenza di Deborah a debordare (di qui, il soprannome di Debordah), nacque uno stato di tensione con Marinella, la storica segretaria del Cav, e Paolo Bonaiuti, il portavoce titolare. Alla fine, venne talmente in uggia all'una e all'altro che il Berlusca, per trovare pace, la sistemò in Rai. Formalmente al Marketing strategico, in realtà col ruolo di sua plenipotenziaria in Viale Mazzini.

Chi l'ha vista agire dall'interno nei sei anni di Rai (2002-2008), dice che dedicava un terzo del tempo al suo lavoro e due terzi al lobbismo berlusconiano con uno zelo così eccessivo da essere controproducente. «Pontificava su tutto, soprattutto su quello che non la riguardava», racconta un testimone. È vivo il ricordo degli scontri con il capo delle Relazioni esterne, Guido Paglia, che non era un «nemico» politico ma, anzi, un uomo di An con il quale sarebbe stato facile intendersi. Ma poiché lei doveva dettare la linea, finiva per azzuffarsi con chiunque. Tempestava di telefonate per spiegare non solo in Rai, ma anche ai funzionari Mediaset e altre reti tv la strategia da seguire per mettere in buona luce il Cav.

Ovviamente finì intercettata e la Repubblica divulgò le registrazioni, accusando Rai e Mediaset di accordi occulti, a scapito della sana concorrenza tra aziende rivali. Ezio Mauro, direttore di Repubblica, guidò la campagna in prima persona parlando di «struttura Delta», una novella P2, per truccare le carte dell'informazione a vantaggio del Caimano. Era, in realtà, l'usuale polverone di Mauro. Tutto, infatti, si risolse nel nulla, sia per l'indagine interna Rai, sia per l'inchiesta archiviata della magistratura.

«Debordah», però, fu alla fine costretta a dimettersi, travolta dal suo napoleonico eccesso di sicurezza. Ecco perché ora si incrociano le dita per il nuovo incarico. Il trauma dell'uscita dalla Rai fu lenito nello stesso anno (2008) con l'ingresso alla Camera. Da allora siede, senza infamia e senza lode, a Montecitorio.

Di temperamento riservato, se non sdegnoso, Deborah non fa comunella con le altre pie donne del Cav. Preferisce la compagnia del coetaneo ed ex deputato, Giuseppe Moles, l'ombra di Antonio Martino nella cui orbita l'ha attratta, talché passa pure lei per liberale, senza affatto esserlo (è favorevole alle quote rosa). Con Martino ha però osteggiato Tremonti nel 2011 votando contro gli ultimi provvedimenti del governo Berlusconi tanto da fare pensare a una sua adesione alla nascente fronda degli alfaniani. In realtà, è troppo legata al Cav per abbandonare lui e Fi. Unico cruccio di Deborah nel partito è il corregionale Denis Verdini, onnipotente ras dell'organizzazione, che le sta sull'anima.

Pubblicamente lo accusa di prepotenza e gli rinfaccia di sovietizzare il Pdl toscano, cui è iscritta. Privatamente gli dà del «macellaio» per i modi brutali e la visione maschilista della donna.

Lascito della Rai è un misterioso fidanzato. Sarebbe il barbuto Giampaolo Rossi, ex presidente di Rainet, colto esponente di An che l'ha introdotta nella magica aura degli hobbit di Tolkien e delle saghe celtiche care alla destra.

Sarebbe in base a questa influenza che Bergamini si fece notare anni fa nel mondo dei blog con un sito in cui si firmava «Cartimandua», regina dei Celti, dando sfogo alla sua lunare fantasia: «Taliesin canta con voce di conchiglia. È una melodia che ricorda alla Regina dei Celti i suoi tempi di ragazza, quando la luce era d'avorio...». Questa è Deborah, la portavoce-poetessa.

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