Ventiquattrore. Tanto c'è voluto perché Silvio Berlusconi mettesse nero su bianco il suo attestato di stima ad Angelino Alfano e Renato Schifani, entrambi chiamati in causa martedì da Luigi Bisignani perché avrebbero tramato alle spalle del Cavaliere. Una presa di posizione tardiva, spiegano da Palazzo Grazioli, solo perché l'ex premier «non voleva alimentare la polemica». Ma che, ribattono i maligni, poteva comunque essere un pizzico più tempestiva e il cui ritardo non può certo essere motivato solo dal fuso orario con la Sardegna. Già, perché il leader del Pdl è ancora in quel di Villa Certosa dove pare resterà tutta la settimana per tirare un po' il fiato lontano dalla consueta sfilza di parlamentari e questuanti che chiedono udienza.
Un Berlusconi che da Porto Rotondo guarda con attenzione alle vicissitudini dell'esecutivo e ai movimenti interni al partito. Le prime, insiste con uno dei pochi interlocutori che ieri è riuscito a parlarci, legate «all'agitazione del Pd e alle manovre di Matteo Renzi» e non certo - come vorrebbero far credere a «un nostro atteggiamento ondivago». Il riferimento è chiaramente alla mozione che chiedeva la reintroduzione del Mattarellum presentata ieri alla Camera dal renziano Roberto Giachetti, frutto secondo i ragionamenti del Cavaliere delle accelerazioni del sindaco di Firenze che più di tutti vorrebbe mettere i bastoni fra le ruote all'esecutivo. Il problema, insomma, è la doppia linea del Pd e spiega Daniela Santanché non certo la mutevolezza di Berlusconi che «in questi mesi ha dimostrato di essere lungimirante, serio e responsabile».
Ma più che la tenuta del governo su cui Berlusconi continua a predicare calma ribadendo che il suo appoggio non è in discussione il punto in queste ore sono i sommovimenti interni al Pdl. La distinzione tra cosiddetti falchi e colombe è una sintesi giornalistica che purtroppo non spiega bene quel che sta accadendo nel partito. Il punto, in sostanza, è che martedì è esplosa una tensione che da tempo covava sottotraccia. Con un bel pezzo della dirigenza che ha chiesto apertis verbis di tenere un atteggiamento più rigido nei confronti del governo. Il casus belli è stato aperto da Raffaele Fitto, ma pure Denis Verdini, Daniele Capezzone e la Santanché hanno insistito sul fatto che «non si può dire sempre sì» mentre il Pd continua a tenere alta la tensione sul governo. Seguiti da Paolo Romani, Saverio Romano e tanti altri. Due riunioni dei gruppi parlamentari accesissime, la seconda finita a tarda sera tra le urla di Verdini da una parte e Fabrizio Cicchitto dall'altra. «Un confronto così schietto spiega un ex ministro vicino al Cavaliere non lo si vedeva da anni». Anche se, aggiunge, non possiamo sottovalutare il fatto che «mancava il capoclasse».
Il fatto che Berlusconi fosse lontano, insomma, potrebbe aver favorito l'accendersi degli animi. Che poi, spiega un esponente del Pdl che oggi siede al governo, «alla fine il partito fa solo e soltanto quello che dice Berlusconi». Ma il punto, come avrebbe fatto presente Fitto durante le riunioni, è che «o si tratta del presidente oppure si discute perché non è pensabile che chi ha delle obiezioni da fare vuole semplicemente fare la guerra al governo».
Un confronto serrato. La cui sintesi è che un pezzo importante del partito vuole che il Pdl faccia da pungolo all'esecutivo. Come ha detto Capezzone in una delle riunioni, «se vogliamo ottenere cinque dobbiamo chiedere dieci». Un braccio di ferro che, di fatto, vede dall'altra parte del tavolo Alfano che oltre ad essere vicepremier e ministro dell'Interno è segretario del Pdl (ieri infastidito anche per la debole «copertura» avuta dai suoi sul caso Bisignani, tanto che avrebbe sollecitato la nota del Cavaliere).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.