Cronache

I giudici ci ripensano Ai domiciliari il giornalista di 79 anni

L'Europa ci bacchetta sulla libertà di stampa. E i magistrati fanno dietrofront: Gangemi, anziano e malato, torna a casa

I giudici ci ripensano Ai domiciliari il giornalista di 79 anni

Esce dal carcere e va ai domiciliari Francesco Gangemi. Ma l'Italia che manda in galera i giornalisti ha un avversario: l'Europa.  Ha lasciato ieri la casa circondariale di Reggio Calabria il direttore del mensile Il Dibattito, spedito in cella a 79 anni - sebbene invalido e malato di cuore e di tumore - per scontare una pena a due anni di reclusione derivante da alcune condanne per diffamazione. I giudici ci hanno ripensato. Il magistrato di sorveglianza Daniela Tortorella, considerate le precarie condizioni di salute dell'anziano cronista, gli ha concesso di continuare a scontare tra le mura domestiche il suo debito con la giustizia, dopo sei giorni passati al fresco in esecuzione di un ordine di carcerazione, emesso dalla Procura generale di Catania, sul quale da subito si erano addensati come nubi i rilievi dei difensori, gli avvocati Lorenzo Gatto e Giuseppe Lupis.

La Procura catanese ha preso atto della decisione del giudice reggino, ordinando «l'immediata scarcerazione del condannato» alla luce della sua assegnazione ai domiciliari per motivi di salute, ma la battaglia continua: i legali di Gangemi hanno già interpellato la Corte d'appello di Catania per ottenere l'annullamento dell'ordine di carcerazione. Il loro assistito, sostengono, già da tempo aveva presentato richiesta di accesso alle misure alternative sulla scorta di precedente cumulo di pena formalizzato dalla Procura di Cosenza. «L'udienza era stata fissata da mesi e calendarizzata per il 14 novembre davanti al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro: la magistratura catanese s'è sovrapposta a quella cosentina», ripetono. Una battaglia in punto di diritto alla quale il direttore del Dibattito assisterà dalla sua abitazione in riva allo Stretto, dove è stato riaccompagnato dal figlio Maurizio. «Papà è provato, ma sta bene», dice Gangemi jr.. «Ha la sensazione che qualcuno voglia mettere il silenziatore al suo foglio, l'unica voce libera della città. Ci avevano già provato nel 2004, con un arresto nell'ambito di un'inchiesta che lo vide poi assolto con formula piena. Ma non s'è arreso allora e non s'arrenderà adesso. Lo ha giurato: non finisce qui».

Intanto, come ai tempi del caso Sallusti, torna a far sentire la sua voce anche Strasburgo. Nel mirino, Roma lumaca ed un Parlamento incapace di adeguare le leggi nazionali a quelle continentali e di cassare dal codice penale il carcere per i reati d'opinione commessi nell'esercizio della professione giornalistica. «Le recenti sentenze del Consiglio d'Europa emesse contro l'Italia per il non rispetto della libertà di stampa e l'incarcerazione per diffamazione del giornalista Francesco Gangemi - dice il commissario per i diritti umani del Consiglio, Nils Muiznieks - evidenziano che le leggi e le pratiche italiane sono inadeguate a proteggere la libertà d'espressione». Un giudizio tagliente, che fa piazza pulita di silenzi (interessati) e ipocrisie varie, strappando la maschera ai campioni della libertà urlata nelle piazze, ma taciuta nelle aule parlamentari: «I legislatori e i giudici italiani - aggiunge Muiznieks - devono urgentemente prendere in considerazione la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e far avanzare la libertà d'espressione in Italia».

Alla notizia della scarcerazione di Francesco Gangemi, in molti, in primis la Federazione nazionale della stampa col suo segretario Franco Siddi, si sono spinti a chiedere per lui un gesto di clemenza al Capo dello Stato, per chiudere nel modo migliore la storia giudiziaria che lo riguarda, e soprattutto «l'approvazione della nuova legge sulla diffamazione, che da mesi giace in Parlamento». Il vicepresidente della Camera, Simone Baldelli, ha ricordato che «su richiesta del Pdl l'esame in Aula è previsto per la prossima settimana». L'Europa guarda. E aspetta.

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