I nuovi anarchici adesso parlano come Toni Negri

Nella rivendicazione del Fai riecheggiano le idee scritte nella trilogia dell’ex leader di Potere operaio. E non solo...

I nuovi anarchici  adesso parlano  come Toni Negri

Siamo in piena sbornia anti-democratica. Il terreno di coltura ideale per chi, stufo di aspettare una rivoluzione pacifica, impugna una pistola per fare il «bel gesto» capace di trascinare le masse: a esempio, gambizzare Roberto Adinolfi, «un tecnico», come lo definisce la rivendicazione della Federazione Anarchica Informale. Uno «scienziato incolore», che ha il torto di essere la «longa manus del capitale». Gli anarchici, nel documento recapitato l’altroieri al Corriere della Sera, cercano alleanze internazionali, rifiutano ogni rappresentanza politica, mostrano di considerare la democrazia come una truffa, si scagliano contro le multinazionali, affermano di voler «far lavorare di pari passo le armi della critica e la critica delle armi», pongono come obiettivo «una umanità libera da ogni forma di schiavitù, che cresca in armonia con la natura». Questi criminali hanno respirato a pieni polmoni l’aria che tira dalle nostre parti. Naturalmente i terroristi hanno pervertito idee del tutto legittime che in (quasi) tutti i casi nulla hanno a che fare con la violenza. Non la auspicano, non la autorizzano, non la invocano, anzi: la ripudiano.

La critica, se non il rifiuto, della rappresentanza politica e delle costituzioni liberali è ben quotata negli atenei europei e statunitensi. Questa letteratura della crisi (politica) oggi è tipica di una parte della sinistra. C’è una tecno-sinistra che invoca gli esperti e le élite al posto dei parlamenti e della sovranità popolare. C’è una paleo-sinistra che considera l’Unione Sovietica del 1918 un ottimo esempio di democrazia. C’è una sinistra paradossale secondo la quale viviamo in democrazie senza democrazia, fondate sulla diseguaglianza economica. Sono, tutte quante, posizioni comprensibili, argomentate e dibattute. (Un’ampia rassegna nella rivista Paradoxa del giugno 2011 dedicata a Quelli che... la democrazia e curata da Dino Cofrancesco: vi si analizza il pensiero di Bovero, Canfora, Ginsborg, Salvadori, Urbinati, Viroli, Zagrebelsky).

C’è poi la nuova star del marxismo: Toni Negri, assurto a guru degli atenei in virtù di una trilogia di saggi (Impero, Moltitudine, Comune, tutti scritti con Michael Hardt) presentata da Rizzoli come «un’opera destinata a essere per il XXI secolo ciò che il Capitale è stato per il XX». Con un linguaggio a tratti visionario, l’ex leader di Potere Operaio descrive: il nuovo ordine mondiale, fondato sul mercato globalizzato; le moderne masse oppresse, che vanno molto al di là del vecchio proletariato includendo precari e movimenti dalle varie istanze; le strategie per ribaltare il governo planetario di cui G8, Wto, Fmi e multinazionali sono le principali manifestazioni.

Negri inneggia alla rivolta, come ha sempre fatto. La rivoluzione, scrive il filosofo, «non pretende lo spargimento di sangue, ma ha un legame necessario con l’uso della forza» (così in Comune). Una «moltitudine disarmata» potrebbe essere «più efficace di una banda armata». Il «sabotaggio», il «rifiuto di collaborare», le «pratiche controculturali», la «disobbedienza generalizzata» potrebbero «essere convogliate in nuove iniziative di ribellione». Centrale è il concetto di «alleanza», quasi di «federalismo», di chiunque insorga contro lo sfruttamento, la proprietà, i distruttori del bene comune. Il «militante», in Impero, è paragonato a San Francesco, che contrappone «la gioia di essere alla miseria del potere». Francesco infatti «alla mortificazione della carne (nella povertà e nell’ordine costituito) contrapponeva una vita gioiosa che comprendeva tutte le creature e tutta la natura». Libertà in piena armonia con la natura, come nella rivendicazione.

E l’ambiguità sull’uso della violenza? In una recente intervista, su Alfabeta di febbraio, Toni Negri ha detto: «È ovvio che non c’è alcun tipo di azione politica di rinnovamento, non c’è neppure riformismo che possa modificare la realtà senza passare attraverso certi gradi di uso della violenza...

Che dalle “armi della critica” si debba passare alla “critica delle armi” a me è sempre sembrato ovvio». Dalle armi della critica alla critica delle armi, come nella rivendicazione. Al di là della comune citazione da Marx, come si vede, un certo linguaggio e certe idee sono piuttosto diffuse. È l’aria che tira.

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