I paradossi della giustizia: processato per 9 fotocopie

Se la giustizia esiste, non è di questo mondo. E i giudici terreni sembrano quasi fare a gara per dimostrare se sia più ingiusta la legge o chi deve applicarla. Per un danno risibile avviato un processo che costerà migliaia di euro. E che finirà quando il reato sarà prescritto

I paradossi della giustizia: processato per 9 fotocopie

Lo mandano a processo per 9 fotocopie. Ma poi rinviano l'udienza al 2015, quando il reato sarà prescritto.

Se la giustizia esiste, non è di questo mondo. E i giudici terreni sembrano quasi fare a gara per dimostrare se sia più ingiusta la legge o chi deve applicarla. Andrea Maggiotto è uno di quelli che un'idea, al riguardo, pare essersela fatta: geometra di 43 anni oggi in forza al comune di Morgano, l'altro giorno ha sentito rimbombare il suo nome nei corridoi del Tribunale di Treviso. Il cancelliere chiamava il procedimento penale nel quale è imputato di peculato. L'accusa? Aver usato la fotocopiatrice dell'ufficio, quando lavorava al Municipio di Vadelago, per stampare 9 fotocopie ad uso personale in un lasso di tempo ricompreso tra il 2002 ed il 2007. Fosse vero, c'è da chiedersi quanto l'ente datore di lavoro avrebbe perso per consentire al proprio dipendente di assentarsi per sbrigare la faccenda. Di certo, e comunque, per un paio d'euro di stampe in bianco e nero forze dell'ordine e magistratura hanno svolto indagini ed imbastito un processo il esito appare peraltro scontato: il Comune, persona offesa, s'è ben guardato dal costituirsi parte civile (e dall'assoldare e pagare avvocati). Il Tribunale, invece, in apertura del dibattimento ha optato per un salomonico rinvio al 2015. Quando il reato, almeno in relazione a parte delle 9 famigerate fotocopie, sarà già prescritto.

Assurdo, non fosse che quello dei processi che costano più del danno al quale intendono porre rimedio è diventato addirittura oggetto di studi: impossibile fornire dati precisi, ma secondo stime elaborate da più istituti, tra i quali il centro di documentazione «Due Palazzi», il costo medio di un processo penale si aggirerebbe intorno ai 3.500 euro. Numeri che moltiplicati per i casi che ogni giorno tracimano in cronaca danno l'idea della voragine finanziaria aperta dal fenomeno. Per dire: appena qualche settimana fa a Mantova, s'è concluso il giudizio a carico di un rumeno che nel 2008 aveva rubato 3 lamette da barba. Condannato a 5 mesi di reclusione, non andrà in galera e non sborserà un centesimo perché nullatenente. A rimetterci sarà solo lo Stato.

Un'eccezione? Se lo è, è quella che conferma la regola. Chiedete al bidello bellunese che della lavatrice della scuola in cui prestava servizio approfittava per lavare pure i suoi panni: la promiscuità di lavaggio non era andata giù ad un integerrimo assessore che, appresa la notizia, aveva subito messo mano alla carta bollata. Dopo l'inchiesta, il processo con rito abbreviato. La Procura avrebbe gradito una condanna del criminale della centrifuga a 10 mesi di reclusione, ma il Gup ha tagliato corto: assoluzione perché il fatto non sussiste.

Quasi uno scherzo, in confronto a quanto accaduto al signor G. S.: nel 2004, a Crotone, ruba una gallina per farci il brodo per la madre morente, ma s'imbatte nei Carabinieri.

Inizia il calvario: tra rinvii e cambi di giudice, in coda a 18 udienze, nel luglio del 2012 su tutto cala la scure della prescrizione, scesa a vendicare anche l'ascolto non prestato al proprietario della gallina d'oro, che pure s'era presentato in dibattimento per rinunciare ad ogni diritto sul volatile, ma invano: poiché perpetrato su animale esposto alla pubblica fede, il furto era da ritenersi aggravato e dunque perseguibile d'ufficio.

E così gli italiani, d'ufficio, c'hanno rimesso in tasse e dignità, senza neanche avere giustizia. Capita ormai talmente spesso che neppure fa più notizia.

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