I pm chiudono l'Ilva di Taranto e gli operai bloccano la città

Agli arresti domiciliari otto dirigenti tra cui il patron Emilio Riva e il figlio Nicola. Per i magistrati l'impianto è una minaccia per la salute: "È una fabbrica di morte"

I pm chiudono l'Ilva di Taranto e gli operai bloccano la città

La magistratura che mette i sigilli su mezza fabbrica, otto dirigenti agli arresti domiciliari, ottomila operai che lasciano immediatamente il posto di lavoro, escono dai cancelli dello stabilimento e raggiungono la prefettura per dare il via ad una prima, durissima protesta: lo sciopero a oltranza. Sono i fotogrammi di un doppio disastro annunciato, che raccontano la convulsa giornata di ieri vissuta all'Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d'Europa, da anni nel mirino dei giudici per inquinamento ambientale. Sigilli, quindi, per sei aree: parchi minerali, cokerie, altiforni, area agglomerazione, acciaierie e gestione materiali ferrosi. Una decisione che Taranto già aspettava dal gip Patrizia Todisco, ma che ora, tradottasi in realtà, rischia di mettere in ginocchio la produzione siderurgica nazionale e di ridurre sul lastrico centinaia di famiglie.

Due le ordinanze firmate dal gip. La prima, trecento pagine, con la quale si dispone il sequestro dei sei impianti, contiene, tra le motivazioni del provvedimento anche i risultati di due perizie, una chimica e l'altra medico- epidemiologica: «L'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte». E ancora, parole pesantissime: «La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all'ambiente e alla salute delle persone e impone l'immediata adozione, a doverosa tutela di beni di rango costituzionale che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo». La seconda invece dispone gli arresti domiciliari per gli otto indagati: il patron Emilio Riva, presidente dell'Ilva Spa fino al maggio 2010, il figlio Nicola Riva, che gli è succeduto e si è dimesso un paio di settimane fa, l'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, il dirigente capo dell'area del reparto cokerie, Ivan Di Maggio, il responsabile dell'area agglomerato, Angelo Cavallo. La misura cautelare, riguarda anche altri tre dirigenti di più recente nomina. Gli otto sono accusati di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose.

«Chiederò che il riesame avvenga con la massima urgenza - ha annunciato il ministro Clini - in ballo c'è il destino di 15 mila persone: Non possiamo permetterci di tenerle nell'incertezza». «La notifica non significa automaticamente lo spegnimento della fabbrica», ha puntualizzato anche il governatore della Puglia, Nichi Vendola, che ieri ha firmato un «Protocollo d'intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto», per un importo complessivo di 336 milioni di euro, tanto che a questo proposito il ministro Passera ha precisato che «governo e istituzioni locali faranno tutto il possibile per individuare soluzioni che tutelino occupazione e sostenibilità produttiva dell'Ilva». Mentre per il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, si tratta di «una terapia d'urto per sanare una malattia nata 52 anni fa. Oggi abbiamo la certezza di un'azione per attuare il diritto alla salute e allo stesso tempo riportare il diritto al lavoro».

C'è da precisare che il sequestro dei sei impianti dell'area a caldo non significa che questi cesseranno di funzionare nel giro di poche ore. Per spegnere gli impianti in questione, che hanno dimensioni gigantesche e caratteristiche molto particolari, è necessario seguire una serie di procedure tecniche che richiederanno alcune settimane. Non è un caso, ad esempio, che l'altoforno, uno degli impianti sequestrati, venga costantemente tenuto sotto controllo dalle cosiddette «comandate», squadre di operai e tecnici specializzati che ne verificano il corretto funzionamento. Perché lo spegnimento dell'altoforno significherebbe la sua distruzione e perché non potrebbe più essere riacceso.

La storia dello stabilimento tarantino della grande società siderurgica si intreccia a doppio filo con quella dell'industria italiana. Nata nel 1905 dalla fusione delle attività siderurgiche dei gruppi Elba, Terni e Bondi, l'Ilva passò sotto il controllo dell'Iri insieme a tutte le imprese di proprietà della Banca Commerciale Italiana, che l'aveva rilevata nel 1921.

Nel 1961, con la costruzione del nuovo polo siderurgico di Taranto, l'Ilva prese il nome di Italsider. Nel 1988 il ritorno alla vecchia denominazione, con lo smembramento legato al processo di privatizzazione ed il passaggio nel 1995 al Gruppo Riva.

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