«I pm volevano farmi incastrare il Cav»

«I pm volevano farmi incastrare il Cav»

Milano «Non sono una prostituta. C'è una guerra contro Silvio Berlusconi e io ne sono la vittima». L'udienza più pirotecnica del processo Ruby non va in scena in un'aula del tribunale di Milano, ma al suo esterno, sullo scalone di pietra sovrastato dalle facce di Falcone e Borsellino. È questa la ribalta che Karima el Mahroug sceglie per raccontare la sua verità. È la verità che lamenta di non avere potuto raccontare nei processi, dove incredibilmente nessuno l'ha chiamata a testimoniare. Ma che si dichiara pronta a ripetere in aula, se - come chiede - verrà citata a deporre.
Ruby non si limita a scagionare Silvio Berlusconi. Va più in là, e accusa la Procura di Milano di averla assediata ed usata perché accusasse il Cavaliere. Parla di promesse, intimidazioni, insulti ricevuti nel corso di interrogatori mai firmati e di cui non è rimasta traccia negli atti ufficiali dell'indagine. E attacca con rabbia la stampa, che incurante dei suoi diciassette anni ha frugato in ogni angolo della sua vita, cucendole addosso un marchio d'infamia.
L'apparizione di Ruby va in scena in un pandemonio di telecamere e di spintoni, di domande ciniche e di diffidenza conclamata. Perché, e perché adesso? Perché uscire allo scoperto dopo due anni e mezzo di silenzio? Siamo di fronte allo sfogo sincero di una ragazza finita in un guaio più grosso di lei, o all'ennesima puntata di una callida strategia difensiva, in cui Ruby continua a fare da spalla alla linea processuale del suo Pigmalione di Arcore? Sono dubbi che Karima sapeva di sollevare, quando ha scelto di presentarsi armata di cartello davanti al Palazzo di giustizia. Ma che ha scelto di affrontare.
La goccia finale, racconta nei cinque fogli che legge davanti alle telecamere, è stata la battutaccia rivolta da una signora a sua figlia Sofia, all'uscita della messa di domenica. Ma che si va ad aggiungere a due anni di insulti sui giornali, in tv, su internet. «La colpa è di quella stampa che per colpire Silvio Berlusconi ha fatto del male a me. Parlo di quei giornalisti che mi hanno violentato pubblicando le intercettazioni telefoniche che mi riguardavano. Le stesse persone che manipolando la verità mi hanno trasformato in quello che non sono: una prostituta». E racconta di una trasmissione tv in cui un tizio è stato pagato per raccontare che lei si prostituiva: «Sono andata a cercarlo l'ho trovato e ha ammesso: ha mentito per tremila euro».
Ma prima e sopra delle colpe dei giornali, nel racconto di Ruby, stanno le colpe dei magistrati della procura milanese. «La violenza che più mi ha segnato è stata quella di essere vittima di uno stile investigativo fatto di promesse mai mantenute di aiutarmi a trovare una famiglia e di proseguire gli studi; un metodo fatto di domande incessanti sulla mia intimità, le propensioni sessuali, le frequentazioni amorose, senza mai tenere conto del pudore e del disagio che tutto ciò provoca in una ragazza di diciassette anni. Eppure nulla di ciò è stato messo a verbale, anzi dei ripetuti interrogatori che ho subito solo alcuni sono stati verbalizzati e nel testo di alcuni non ho neanche apposto la firma. Un atteggiamento investigativo apparentemente amichevole che è progressivamente mutato quando è stato chiaro il fatto che non avrei accusato Silvio Berlusconi». Nella foga di incastrare il Cavaliere, sostiene Ruby, i pm non si sarebbero nemmeno resi conto delle sue assurdità: «Ho raccontato di avere incontrato persone che conoscevo solo grazie ai rotocalchi, come Cristiano Ronaldo o Brad Pitt, e dentro di me mi domandavo come fosse possibile che non si accorgessero che erano frottole».
Da sola, emozionata ma coriacea, Ruby sfodera poi il colpo d teatro: il suo vecchio passaporto che porta come indirizzo «rue Moubarak». È da lì, dice, che prese l'idea di spacciarsi per nipote del rais egiziano.

Poi se ne va, fendendo la muraglia umana, senza rispondere alle domande - spesso spietate - che le piovono addosso. Ma se i giudici del processo Ruby 2, che riprende oggi, la chiameranno a deporre prima della sentenza, alle domande dovrà rispondere. E lei, dice, non vede l'ora.

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