Roma - Davanti a una platea di piccoli e medi imprenditori, dove la preoccupazione e la tensione si tagliano a fette, il ministro dello Sviluppo Corrado Passera non ha risorse e neppure sollievo da distribuire. Neppure la certezza che dalla spending review, l’operazione di taglio alla spesa pubblica affidata a Enrico Bondi, possano giungere le risorse per evitare il temutissimo aumento dell’Iva in ottobre. Passera può aggiungere solo timori ai timori: «Metà del Paese - dice - soffre per il lavoro, e la tenuta sociale è a rischio».
Non è una gran consolazione per gli imprenditori riuniti in assemblea di Rete imprese Italia, gente che in questo due anni ha dovuto fronteggiare uno cataclisma economico senza precedenti. Parla di tsunami il presidente di turno della Rete, Gian Marco Venturi. Lancia l’allarme per il gran numero di aziende travolte dall’emergenza economica. E mete in guardia il governo: «Un ulteriore aumento dell’Iva metterebbe definitivamente in ginocchio il Paese». La pressione fiscale viaggia sul 45%, e non permette alcun investimento. «L’Imu e la mannaia dell’Iva - aggiunge - sono un vero e proprio percorso di guerra lungo il quale molte imprese rischiano di cadere, con grave danno per il Paese». Il rilancio può avvenire attraverso il taglio agli sprechi, la dismissione di beni pubblici, la riduzione della pressione fiscale. Venturi definisce inaccettabile e immorale che la Pubblica amministrazione non paghi i 70 miliardi di debiti nei confronti delle imprese. E sollecita la ripresa dell’accesso al credito, oggi fortemente ridotto.
Alle imprese in difficoltà il ministro dello Sviluppo può offrire solidarietà e una vaga promessa di «farcela» in un ipotetico futuro. Ma intanto c’è da affrontare la vera emergenza: il lavoro. «Se mettiamo insieme disoccupati, inoccupati, sottoccupati e sospesi arriviamo forse a 6-7 milioni di persone. Con i loro familiari arriviamo alla metà della nostra società. Non sono a rischio soltanto i consumi e gli investimenti - ammette - ma anche la tenuta economica e sociale del Paese. Il disagio sociale è molto più ampio di quello che le statistiche dicono».
C’è agitazione fra gli imprenditori del commercio, dell’artigianato, delle piccola impresa. Certo non si possono accontentare delle critiche che Passera rivolge all’Europa, «che non ha saputo fare la propria parte adeguatamente». Vogliono che lo Stato paghi, almeno in parte, i debiti contratti con le aziende. «Ci vuole un segnale perché il clima è rovente, la situazione potrebbe aggravarsi e la gente può perdere la testa», avverte il presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini. E poi c’è una pressione fiscale che, ricorda il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, «ormai supera il 50% a carico dei contribuenti leali e in regola». L’aumento dell’Iva in autunno metterebbe definitivamente in ginocchio il sistema. Secondo la Coldiretti, le famiglie italiane sarebbero costrette a spendere un miliardo in più soltanto per i consumi alimentari.
E che non ci sia spazio per l’ottimismo lo conferma l’analisi sulla congiuntura del Centro studi della Confindustria. I piccoli segnali di miglioramento sono cessati. In aprile, l’attività industriale è diminuita dello 0,6%, ritornando ai livello del novembre 209. I nuovi ordini segnalano una forte contrazione in aprile, e aumentano le probabilità di un forte calo del Pil nel secondo trimestre di quest’anno. Il profilo delle nostre esportazioni è piatto da un anno, e lo scenario dei consumi interno è molto sfavorevole, con il clima di fiducia delle famiglie al minimo storico, il mercato del lavoro che peggiora, le difficoltà delle banche di raccolta e di liquidità. Gli italiani sanno che dovranno pagare molte tasse, e restringono al massimo i consumi. In questo modo l’economia si avvita in una spirale negativa.
Riavviare la crescita è dunque la priorità. Ma la sola strada percorribile passa per l’Europa e per la Germania. Il governo sta lavorando per un accordo che sterilizzi dai conteggi di bilancio gli investimenti infrastrutturali e quelli dell’agenzia digitale. Sul fronte del fisco, invece, nessun margine di manovra.
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