Tutto fermo, tutto congelato nel freezer della politica. Che fine hanno fatto le promesse elettorali sui temi più urgenti dell'economia? Quale governo si predispone a ridurre l'Imu sulla prima casa, la cui rata dev'essere versata entro il 18 giugno? Due mesi e mezzo passano in un lampo, di questo passo pagheremo fino all'ultimo centesimo. Quale governo sta studiando la riduzione del cuneo fiscale sulle nuove assunzioni, per frenare l'emorragia dei posti di lavoro? Le imprese nell'attesa non assumono, la disoccupazione galoppa. Quale governo darà il via libera alla riapertura di qualche cantiere? Quale governo bloccherà l'aumento dell'Iva a partire dal 1 luglio? Quale governo rinvierà, per lo meno, la nuova tassa sui rifiuti Tares, una sorta di Imu-bis?
A sei settimane dalle elezioni, tutto è fermo. Mario Monti ha dichiarato che non vede l'ora di «essere sollevato» dal suo incarico, figuriamoci con quale impegno gestisce l'ordinaria amministrazione. Col passare del tempo i problemi si aggravano. Senza un governo che affronti subito almeno i temi più urgenti dell'emergenza, imprese e famiglie subiranno un danno calcolato in almeno 25 miliardi di euro. In campagna elettorale, i principali partiti erano d'accordo di evitare l'aumento dell'Iva dal 21 al 22%, ma se non c'è un governo in carica l'incremento dell'imposta costerà 2 miliardi quest'anno, e 4 miliardi dal 2014 in poi. Se non si abolirà l'Imu sulla prima casa, alle famiglie toccherà sborsare altri 3 miliardi e mezzo. La Tares costerà 8 miliardi, 2 in più rispetto alle vecchie imposte ambientali. Se non si ridurranno l'Irap e il costo del lavoro, il cui sconto era valutato in 5,5 miliardi, le imprese soffriranno.
La sola stangata d'estate costerà ad un commerciante circa 4.500 euro, circa 7mila ad un artigiano, a una piccola società di persone costerà intorno ai 18mila euro, ad una società di capitali con 10 dipendenti, più o meno 25mila euro. Con le banche che pigiano il freno sui crediti alle imprese, gli usurai si fregano le mani. Ma non basta, c'è la disoccupazione che dilaga. Il programma del Partito democratico punta non solo a rendere meno costoso il contratti tipico, a tempo indeterminato, ma anche a ritoccare la riforma Fornero sugli atipici. Il Pdl intende modificare alcuni vincoli introdotti dalla riforma, azzerare i contributi per i primi cinque anni per i nuovi assunti, detassare il salario di produttività. Scelta Civica vorrebbe un contratto meno costoso e più flessibile. Ottimi propositi, ma tutto resta fermo, congelato. Quale ministro del Lavoro sta preparando questi interventi?
L'economia è ferma, la recessione è grave. Ci vorrebbe qualche stimolo, magari quel «piano straordinario» da 7,5 miliardi proposto dal Pd per realizzare piccole opere di pubblica utilità, in particolare in scuole e ospedali: il 60% dei finanziamenti verrebbe da tagli alla Difesa, il 40% da fondi europei. O anche il completamento dell'alta velocità ferroviaria, a partire dalla Torino-Lione, come si legge nel programma del Pdl. O almeno rinnovando fino al 2015 lo sgravio fiscale del 50% sulle ristrutturazioni edilizie e lo sconto del 55% sugli interventi di efficienza energetica, promessi da Mario Monti ai costruttori. Ma non c'è governo, tutto è bloccato.
E quale governo sta predisponendo la nuova «lenzuolata» di liberalizzazioni, così cara a Pier Luigi Bersani? Professioni, farmacie, carburanti, poste, assicurazioni, commercio e così via? Quale governo sta programmando lo stanziamento di 3 miliardi - previsto nel programma del Pd - per portare la fibra ottica nelle scuole e nelle strutture sanitarie? Domande senza risposta.
Le aziende chiudono, e quelle che resistono non possono che assistere impotenti ai continui rinvii di Monti e alle sterili contrapposizioni politiche che impediscono la nascita di un governo che tenti, almeno, di fare qualcosa. Le famiglie paventano la stangata fiscale d'estate, e non comprano più nulla. Da qui al baratro il passo è breve. Qualcuno, nel Palazzo, se ne accorge?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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