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Inneggia al killer di Raciti, punito il calciatore ultrà

Quando l'ispettore capo, Filippo Raciti (nel tondo), entrò in polizia come allievo agente ausiliario, l'attaccante del Cosenza calcio (serie D) Pietro Arcidiacono aveva appena due anni. Quando Raciti, il 2 febbraio 2007, morì a 40 anni sull'asfalto, durante gli scontri fuori dallo stadio di Catania (nel derby contro il Palermo), Arcidiacono ne aveva solo 19. Anche per questo quello che è avvenuto sabato a Lamezia Terme, durante un incontro tra Nuova Cosenza e Sambiese ha del pazzesco.
Giovedì scorso la sentenza della Cassazione condannava, in via definitiva, due ultras del Catania, Antonino Speziale a 8 anni di carcere e Daniele Micale a 11 anni, per l'omicidio preterintenzionale di Raciti. Ultrà e amici dei due giovani non hanno mai creduto alla versione della polizia. Fra quegli amici (o ultrà) c'è anche l'attaccante della squadra cosentina, Arcidiacono, originario di Catania, che sabato per festeggiare il suo terzo gol, è andato verso la panchina dove il fratello Salvatore, anche lui giocatore, gli ha passato una t-shirt con la scritta «Speziale innocente», e fiero l'ha indossata sotto una capigliatura e tatuaggi degni della curva sud.
Il sindacato di polizia Coisp ha chiesto la sua radiazione: «Un gesto intollerabile che non ha nulla a che vedere con i valori dello sport, anzi ha rappresentato un insulto alla memoria di Raciti, alle sofferenze dei suoi familiari, al dolore dei suoi colleghi». Ma lui ha anche trovato giustificazioni: «Non è stato un gesto contro le forze dell'ordine né, tanto meno, contro la famiglia Raciti, ma solo un atto di solidarietà verso un ragazzo che conosco». Giustificazioni che però non ha colto il questore di Catanzaro, Guido Marino, il quale ha deciso che Arcidiacono non metterà più piede in uno stadio di calcio per tre anni (Daspo). Il procuratore federale della Figc, Stefano Palazzi, aprirà un fascicolo sulla vicenda, e la Digos sta accertando se sussistano reati penali per il calciatore. E, forse, non solo per lui.
Ma in questa triste storia, la prova peggiore l'hanno regalata i legali di Speziale che, difendendo la bravata di Arcidiacono, non hanno trovato di meglio da dire che «in Italia persino la libertà di pensiero e di espressione è sanzionata. La condanna di Speziale è certamente una decisione che non si può né digerire né accettare. Una sentenza definitiva non può limitare la libertà della persona di esprimere il proprio pensiero». Già, il proprio pensiero. Per capire che senso possa aver avuto il pensiero di Arcidiacono, sia il calciatore che gli insigni penalisti dell'amico ultrà condannato, dovrebbero leggersi e rileggersi lo sfogo di Marisa Grasso, vedova Raciti, su Radio 24: «Arcidiacono è uno stupido e un presuntuoso, sono contenta per il Daspo emesso dal questore di Catanzaro nei suoi confronti. Con quella maglietta ha offeso i miei figli. Gli chieda scusa: perché non prova a solidarizzare con loro, che da quasi sei anni non possono più pronunciare la parola papà? E dire che in questi anni non l'ho mai visto in tribunale, a chiedere verità e giustizia». Forse Arcidiacono nemmeno sa che il Daspo è stato istituito proprio dopo l'omicidio Raciti. Adesso lo imparerà. Forse mediterà guardando sabato sera il derby Palermo-Catania (guarda caso).

In televisione però.

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