Gli insospettabili alfieri dell’inciucio anti riforma

Dai ministri cattolici e post-comunisti agli ipocriti che parlano di "modello tedesco": i nemici obliqui di un Paese libero e responsabile sono i sostenitori del compromesso

Gli insospettabili alfieri dell’inciucio anti riforma
I nemici della riforma del mercato del lavoro vengono al­lo scoperto, e an­che in fretta. Non parlo della Cgil, che alla fine si porta sempre ap­presso anche la Cisl, perché resta memorabile anche per Raffaele Bonanni la bastonatura cui fu sot­toposto

quel poveretto di Savino Pez­zotta, il suo predecessore che fir­mò con il governo Berlusconi per una sospensione sperimentale di tre anni dell’articolo 18 e finì con i violenti di ogni risma a tirar­gli bombe e bulloni, fino a essere letteralmente cacciato dalla dire­zione sindacale. Non parlo di quei «pazzi di Dio», vescovoni e politici cattolici, incapaci di capi­re che non si disumanizza un lavoratore, soggetto di tutte le tute­le giuridiche dovute (mica han­no abrogato la magistratura del lavoro questi golpisti di Franco­forte insediati al governo), se si stabilisce che un’impresa può riorganizzarsi nell’economia mo­derna e globalizzata senza che una legge di mezzo secolo fa glie­lo impedisca. I lavoratori non so­no merce, caro attivista prodiano monsignor Bregantini, ma il lavo­ro è un fattore della produzione e per questo non è il «posto» di lavoro garantito. Anche il capitale è un fattore della produzione, e se non si investe non c’è lavoro, an­che i giovani disoccupati sono persone,e se non c’è libertà di im­presa se ne stanno ai margini come sudditi, altro che Leone XII e balle varie. Non a tutti capita la fortuna di un Carlo De Benedetti, nemico fierissimo di Fornero e della sua riforma, non a tutti è da­to di piazzare alle poste i dipendenti di un’impresa fallita come la Olivetti. Non parlo dei sociolo­gi impazziti che pensano alla For­nero, che fa rima con cimitero nel Paese di Biagi e D’Antona, come a «un nuovo Vittorio Valletta», il duro e discriminatorio capo del­l­a Fiat degli anni Cinquanta e Sessanta. Non penso nemmeno ai magistrati del lavoro di Potenza, ideologici difensori in giudizio del «forte antagonismo» di tre di­pendenti di Melfi che bloccava­no la produzione come succede­va nelle fabbriche Fiat negli anni Settanta, con metodi intimidato­ri e violenti.

Questo tipo di figure o figuri era già nel conto. I veri nemici obliqui di un Paese libero e re­sponsabile, in cui le cose possa­no cambiare, in cui il lavoro si pos­sa creare per tutti, sono i signori del compromesso ideologico e d’affari permanente. I ministri cattolici e postcomunisti che in Consiglio dei ministri strepitano contro il passo più importante fat­to dal governo Monti in materia di riforme di struttura. Il nuovo capo di Confindustria che fa su Repubblica una immediata apo­logia a comando della coesione modello consociazione, che va ghiotto di Cgil in trincea nel mo­mento in cui sedici ore di sciope­r­o generale sono indetti per com­battere contro i mulini a vento dell’economia senza frontiere. I giornalisti ipocriti che stanno lì a blaterare, perché questo voglio­no editori più ipocriti di loro, del modello tedesco, sulla scia del bullo di Piacenza: dateglielo a Bersani il modello tedesco, cioè una magistratura del lavoro con i fiocchi dell’etica d’azienda, uno sfruttamento degli impianti coge­stito con i sindacati aziendalisti che nemmeno Marchionne si so­gne­rebbe mai di imporre a Pomi­gliano e a Mirafiori. E adesso vedrete come salte­ranno fuori alle Camere i soliti inciucioni che hanno messo stori­camente il Paese in ginocchio, che hanno liquidato ogni istanza riformatrice seria di governi elet­ti con maggioranze forti e pro­grammi chiari, che hanno impan­tanato nelle mezze misure i conti dello Stato e la competitività e produttività dell’impresa, con un Paese indebitato in modo spettacolare, incapace di uscire dalla stagnazione, in cui tutti ci sentiamo alla fine sudditi impauriti e bi­sognosi di protezioni sociali di un altro secolo.

Per adesso a reggere tutto il pe­so della verità politica, e del coraggio di proclamarla in pubbli­co, ci sono il capo del governo, il ministro del Lavoro e il presiden­te della Repubblica. Sono gli uni­ci a ricordare che il dramma del­­l’Italia è la crisi industriale e dei servizi, non la possibilità di rior­ganizzare l’impresa assumendo e stabilizzando i lavoratori che ar­rivano, e quando è necessario, salvo il diritto ovvio alla causa di lavoro che deve durare tre mesi e non cinque anni, licenziando per ragioni economiche e organizzative.

Entro l’estate si vedrà se siamo seri o una manica di buffoni, di retori, di piagnoni e di finti umani­sti che lavorano per un sistema di complicità interessate a tutti i li­velli, che non dà altri benefici che una falsa sicurezza sociale.

Intan­to mi infurio, mi sfogo, e mi augu­ro lo spread a settecento e oltre, così, tanto per ricordare a questa manica di filistei, che pensano di salvarsi la coscienza solidale e di classe con l’ipocrisia, come stan­no le cose.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica