Intercettazione choc: il prefetto dell'Aquila rise dei bimbi orfani

Intercettazione choc: il prefetto dell'Aquila rise dei bimbi orfani

Le lacrime del prefetto. Lacrime di circostanza. Lacrime false. È il 28 maggio 2010 e Giovanna Iurato parla al telefono, intercettata, con il capo dell'anticrimine Francesco Gratteri. Ricorda il suo arrivo all'Aquila e l'idea di andare a rendere omaggio ai defunti della casa dello studente, deponendo una corona di fiori. «Hai pianto?», le chiede Gratteri. «Sì, ho pianto», risponde lei che rievoca i titoli dei giornali sulle «lacrime del prefetto» e a quel punto scoppia a ridere. Fu una sceneggiata, annotano ora i pm di Napoli, che l'hanno indagata per turbativa d'asta. «Si era falsamente commossa», scrivono i magistrati che indagano sugli appalti della polizia. Un episodio che avvilisce e offende il pianto, quello vero, degli orfani e delle vedove. L'intercettazione diventa pubblica nelle ore in cui escono le motivazioni di una sentenza che riguarda la tragedia dell'Aquila: quella con cui i sette componenti della Commissione grandi rischi sono stati condannati a sei anni di carcere. Il magistrato li colpisce con un avverbio e tre aggettivi. Gli autorevoli tecnici non furono all'altezza della loro fama nei giorni che precedettero il terribile terremoto. Anzi, le loro valutazioni dei rischi furono «assolutamente approssimative, generiche e inefficaci».
Un poker di parole senza appello. La sentenza aveva suscitato sconcerto perché sul banco degli imputati erano finiti scienziati e tecnici come Enzo Boschi, all'epoca presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, e Franco Barberi, in quei mesi del 2009 presidente vicario della Commissione Grandi rischi. Il giudice Marco Billi mette subito le mani avanti: non si è trattato di un processo alla scienza e nemmeno alla mancanza di capacità profetiche degli esperti. No, questo non è avvenuto, ma il magistrato va oltre e delinea anche la responsabilità dell'allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso. A lui, nelle motivazioni del verdetto, è riservata una stoccata pesantissima: Bertolaso impostò «un'operazione mediatica che si è concretizzata nell'eliminazione dei filtri normativamente imposti fra la Commissione Grandi rischi e la popolazione aquilana. Tale comunicazione diretta, favorita dall'autorevolezza della fonte, ha amplificato l'effetto rassicurante del messaggio trasmesso, producendo effetti devastanti sulle abitudini cautelari tradizionalmente seguite dalle vittime».
Insomma, mentre le scosse si susseguivano, la Commissione valutò allegramente i pericoli e poi tranquillizzò la popolazione che abbassò la guardia e andò incontro inconsapevolmente al disastro. Per questo Boschi, Barberi e gli altri sono colpevoli e lo è anche, su un altro piano, Berrtolaso. E infatti Antonietta Centofanti, presidente del Comitato vittime della casa dello studente, si augura che «Bertolaso finisca sul banco degli imputati».


Per puntellare il proprio ragionamento, il giudice recupera il verbale dell'ennesima riunione e cita le parole dell'assessore regionale alla Protezione civile Daniela Stati: «Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione». Dunque, il risultato fu che tutti si convinsero, a torto, che l'Aquila non era esposta a rischi particolari. Il 6 aprile 2009, invece, la città fu sfregiata da un sisma da cui non si è ancora ripresa.

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