Invece Bersani è nei guai e pensa alla «tassa Cgil»

Invece Bersani è nei guai e pensa alla «tassa Cgil»

RomaFerdermeccanica, Cisl, Uil, Fismic e Uglm hanno firmato il contratto dei metalmeccanici. Un altro senza Cgil, forse l'ultimo perché il clima potrebbe cambiare e non a vantaggio delle imprese. Se ci dovesse essere un cambio della guardia tra l'esecutivo tecnico e uno politico di centrosinistra la confederazione di Corso d'Italia potrebbe tornare al centro dei tavoli. Quelli nazionali, ma anche quelli aziendali.
Perché tra le poche certezze italiane c'è quella che il Pd, quando va al governo, deve pagare pegno al sindacato della sinistra. La volta scorsa toccò alle pensioni con l'abolizione della riforma del centrodestra a favore di un ammorbidimento che costò qualche miliardo ai contribuenti. Oggi potrebbe toccare anche alla contrattazione e alla rappresentanza, con relativo conto a carico delle aziende. I segnali ci sono tutti. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, fresco di vittoria alle primarie, ha detto come la pensa su patrimoniale, previdenza. Ma, con poche criptiche parole ignorate dai media, ha anche fatto capire alla sinistra e al primo sindacato che interverrà sui contratti. In serata, dopo un incontro a Palazzo Chigi con il premier Mario Monti, ha giurato «lealtà fino al voto», aprendo a un incarico al Prof: «Ma non vorrei annettere tutti».
Sindacati, Cgil esclusa, e imprese hanno siglato da poco un importante accordo sulla produttività, che consiste nello spostare il baricentro delle relazioni industriali dai contratti nazionali a quelli aziendali e territoriali. Dà alle singole aziende e ai suoi lavoratori più margini di decisione. Il candidato premier del centrosinistra ha detto che va bene, che apprezza il principio generale, «con un ma», cioè «bisogna mantenere comunque un presidio nazionale perché questo paese è già troppo diviso». Moderazione solo nei toni. La sostanza è che il candidato presidente del centrosinistra ha la stessa tesi della Cgil, che non vuole deroghe al contratto nazionale e non accetta il principio degli aumenti legati, più che all'inflazione, alla capacità di produrre. Poi Bersani ha affrontato un altro tema solo apparentemente sindacalese: «Non si può prescindere da meccanismi di partecipazione e rappresentanza dei lavoratori». Si tratta di un accenno al nodo che non ha fatto fallire la produttività, cioè l'esclusione della Fiom dal tavolo per il rinnovo del contratto che poi è stato siglato ieri.
L'obiettivo del Pd, è il ragionamento che prevale tra i sindacati che hanno firmato, è fare entrare la Fiom nel contratto in differita. Se e quando andrà al governo (con Bersani premier o in altro modo) potrebbe creare le condizioni per fare firmare il contratto alla federazione più a sinistra del sindacato di sinistra, con l'effetto di riportarla anche in tutte le trattative aziendali dalle quali ora rischia di essere esclusa. Una prospettiva che alle aziende può non piacere, se i metalmeccanici rimarranno quelli di Maurizio Landini, segretario Fiom che ha dimostrato di riuscire a condizionare pesantemente l'organizzazione di Susanna Camusso. L'altro obiettivo, questo dichiarato da Bersani, è fare firmare alla Cgil, sempre in differita, l'accordo sulla produttività. Facendo digerire a Confindustria qualche ritocco gradito alla confederazione.
Il contratto di ieri interessa 1,6 milioni di lavoratori. L'aumento salariale medio è di 130 euro. Un successo per i firmatari. «Arriva salario fresco nelle tasche di quasi due milioni di lavoratori», ha assicurato il leader della Uilm Rocco Palombella.

La Fiom di Landini ha risposto con una mobilitazione e annunciando un ricorso contro Federmeccanica. Il nuovo accordo separato è «un frutto avvelenato», secondo la Fiom.
Sono «liberi di andare dal giudice - ha commentato il leader della Cisl Raffaele Bonanni - ma non sono i giudici a fare i contratti».

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