Con Lui alla tolda di comando sarebbe stato tutto diverso. Tutti avrebbero rigato dritto verso un'unica direzione, zitti e mosca. Abbassare la testa davanti al ministro nero che vuole fare a pezzi la legge sull'immigrazione Bossi-Fini? Giammai. Lui è Umberto Bossi, il capo dei capi, relegato a una carica onorifica all'interno del partito che ha plasmato a sua immagine. Quell'altro, che non gli somiglia pégniente, è Roberto Maroni, segretario federale della Lega da un anno, e presidente della Regione Lombardia. A Bossi i segnali di fumo che Maroni ha mandato nei giorni scorsi al ministro dell'Integrazione Cécile Kyenge, per salvare in extremis il faccia a faccia con Luca Zaia alla festa del Carroccio di domani a Milano Marittima, non sono andati giù. E ieri è arrivata pure la beffa della ministra che ha deciso di non andare affidando un commento al portavoce: «Non avendo ricevuto un intervento chiaro e pubblico dal segretario Maroni per stigmatizzare i molti, troppi attacchi rivolti contro di lei da esponenti di quel partito, ha deciso di declinare l'invito». «Deluso» il vicecapogruppo della Lega alla Camera, Gianluca Pini: «Non fa onore a chi dice di volere un cambiamento». Rincara Zaia: «Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna. Non viene alla nostra festa? Vado io alla festa Pd».
Sornione, Bossi bofonchia in Transatlantico e sembra godere nel mandarle a dire al suo ex delfino (un po' spiaggiato): «Quella signora fa di tutto per non essere amata - aveva detto poco prima - il governo vuole aprire ai clandestini ma per noi, per i leghisti, la Bossi-Fini non si tocca. Non deve venire alla nostra festa chi vuole distruggere la mia legge. Io non l'avrei mai chiamata».
Colpa dell'accostamento Kyenge-orango di Calderoli? Delle banane lanciate sul palco della festa del Pd a Cervia? O degli insulti razzisti? Macché. «In giro c'è sempre qualcuno che fa il pirla - dice Bossi - il problema non sono i cretini che fanno queste cose. Il problema è politico. Sono quelli che vogliono smantellare la mia legge». Ma non è difficile credere che dietro a quelle offese ci siano i nostalgici di quel «cerchio magico» bossiano che torna ringalluzzito come ai tempi del celodurismo o dello slogan «padroni a casa nostra». Lo si capisce da frasi come quella dell'ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli: «La Kyenge è una nullità politica» e la Lega (alias i maroniani) «sta dando troppa importanza a questa persona». Carico da undici di Fabio Rainieri, segretario nazionale della Lega Nord Emilia: «Smetta di fare la vittima.
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