Paolo Trovò è titolare della Mestriner Welding srl, azienda di Marghera (Venezia) che da 70 anni opera nel settore delle saldature industriali. Ha circa tre milioni e mezzo di fatturato annuo, 18 dipendenti, un discreto passato confindustriale (ha guidato i «piccoli» di Confindustria Veneto e tre anni fa tentò la scalata a Confindustria Venezia provocando un putiferio). E un presente in bilico: «L’Agenzia delle entrate vorrebbe che diventassi un ex imprenditore. Mi costringeranno a chiudere».
Seppellito dalle tasse?
«In base agli studi di settore mi hanno multato per 200mila euro. Che non ho evaso. E che non posso pagare».
Li ha portati in Svizzera?
«Macché Svizzera. Non sono un evasore. La mia azienda e io personalmente abbiamo sempre pagato le tasse fino all’ultimo centesimo, e le assicuro che sono cifre molto consistenti».
Se non è un evasore, perché il fisco ce l’ha con lei?
«Nel 2005 ebbi un calo di fatturato perché nel mio settore arrivarono i cinesi. Persi quote di mercato all’estero, non in Italia».
In che comparto opera?
«Prodotti per saldature».
Vogliono farle pagare tasse per aver diminuito il giro d’affari?
«Proprio così. L’anno dopo mi ripresi tornando sui livelli degli anni precedenti. Ma tempo dopo, in base agli studi di settore ricevetti un accertamento d’ufficio. Non ero parametrato. In realtà conosco ben pochi imprenditori che rientrano nei parametri».
Gli studi di settore hanno bastonato moltissimi imprenditori.
«Sono un “unicum” italiano. Una perversione. Presumono che il fatturato cresca sempre. Ma chi l’ha detto? Oggi qui non cresce nessuno».
Ha fatto ricorso?
«Certo. Per prima cosa, avevano sbagliato settore merceologico: mi avevano classificato come fonderia, cioè nella carpenteria pesante, mentre noi lavoriamo rame e ottone, cioè carpenteria leggera».
Prima cosa che non quadra. Poi?
«Ho presentato all’Agenzia delle entrate il fatturato cliente per cliente nel 2004, 2005 e 2006 per mostrare l’andamento dell’azienda».
Un lavoraccio.
«Due impiegate ci hanno lavorato una settimana. Si vedeva chiaro che avevo avuto un calo all’estero, non in Italia, e che mi ero ripreso. Ho scientificamente documentato che non ho evaso un euro perché ho pagato le imposte dovute su un fatturato ridotto».
Che cosa le ha risposto l’Erario?
«Come ha evidenziato il mio commercialista nel ricorso, dagli accertamenti non risulta alcuna analisi della contabilità, che non essendo stata esaminata non è neppure stata contestata. Il fisco si basa non su fatti, ma su ipotesi, presunzioni e deduzioni. In più mi hanno contestato l’antieconomicità dell’attività di impresa e un mio personale comportamento antieconomico».
Cioè le hanno detto che non è un buon imprenditore.
«Roba da matti. Mi hanno trattato come se dovessi cambiare mestiere, come uno che in 35 anni di impresa non ha mai capito nulla. Magari dovrei andare a lezione da loro. Hanno perfino contestato alcuni certificati medici».
Si era ammalato?
«Ho avuto problemi di salute per tre mesi in quel 2005, un po’ di esaurimento. Ero in ansia, avevo il pensiero degli stipendi da pagare. Sono stato in cura anche se al mattino andavo in azienda come sempre, come farebbe qualunque imprenditore. Anche questo ha inciso sul calo del fatturato. Ma gli ispettori del fisco se ne sono infischiati. Hanno detto che se ero malato dovevo farmi ricoverare, non andare a lavorare».
A che punto è il contenzioso?
«Il mio commercialista mi ha difeso in due udienze. A metà maggio ce ne sarà una terza, penso quella decisiva. Mi hanno fatto un conto sui 200mila euro. Nel frattempo avrei dovuto pagare un acconto di 93.238,80 euro: un anticipo pari quasi alla metà del totale. Conservo il bollettino postale che mi hanno spedito: secondo l’Agenzia delle entrate avrei dovuto andare in posta con quasi 100mila euro in contanti».
Non l’ha fatto?
«Ho presentato opposizione in cambio di una fideiussione di 120mila euro».
Se la decisione sarà sfavorevole, che cosa farà?
«Non ho tutti quei soldi liquidi e non so dove recuperarli perché, grazie a Dio, non ho mai avuto bisogno delle banche. Non ho rapporti con loro. Ho sempre lavorato con il mio denaro».
Chiuderà bottega?
«Non avrei alternative. Se sarò costretto a pagare, chiuderò l’azienda con 70 anni di storia e dovrò lasciare a casa 18 dipendenti. E tutto per un calcolo puramente ipotetico, non per evasione».
Si sente un perseguitato?
«Penso che il fisco voglia fare cassa a ogni costo sulla pelle della gente. Mi dispiace non aver trovato grandi sponde nella mia categoria. Ma vado avanti da solo lo stesso».
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