L’INTERVISTA

Ha scritto La solitudine dei numeri primi, è laureato in fisica, lavora all’università di Torino con un dottorato di ricerca. Il cervello dello scrittore Paolo Giordano è più che attivo.
Sa che dai 27 anni la mente declina?
«Allora sono agli sgoccioli... Sta scadendo il tempo. Li compio a dicembre».
Si sente già un po’ rallentato?
«Ancora non ho avuto segnali. Però è difficile capire la nostra mente, è un circolo vizioso».
Neanche un presagio?
«No, non mi sento rallentato. Quando mi succede do la colpa alla stanchezza. Ma questa ricerca non mi stupisce».
Come mai?
«Pensavo che il cervello si fermasse verso i 25 anni. Ero convinto di aver già superato la soglia, invece ho ancora qualche mese: è una buona notizia».
Dicono che a 22 anni la nostra mente raggiunga il massimo. Cinque anni fa era più brillante?
«Ho sempre osservato forti oscillazioni nella mia velocità di ragionamento e di apprendimento, a seconda di quanto studiavo. Quando ero sotto esame, la velocità era massima. Ma dipendeva dall’allenamento, non dall’età».
Conta di più l’esercizio?
«Sì, è quello che fa la differenza. Quello che perdiamo dal punto di vista dello sviluppo possiamo compensarlo con l’esperienza».
Qualche allenamento in particolare?
«L’importante è variare: non atrofizzare il cervello su un singolo aspetto.

Vale anche per chi si occupa solo di certe attività scientifiche. Per esempio, ora che scrivo metto il mio cervello sempre alla prova su argomenti nuovi».
Allora non è preoccupato?
«Ma no. Fin che fai ginnastica, non c’è problema».

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