L’Italia paralizzata dai "no": 331 opere restano bloccate

In aumento nel 2011 i casi di infrastrutture o impianti fermi per colpa delle proteste a oltranza di comitati, ambientalisti e movimenti politici

L’Italia paralizzata dai "no": 331 opere restano bloccate

Roma - Il rigassificatore? Non lo vogliamo, puzza. La centrale elettrica? Per carità, è pericolosa. Il parco eolico? Neanche per idea, è brutto e rovina il paesaggio. La discarica? Inaccettabile perché porta le malattie.
Gli italiani vogliono luce, gas, riscaldamento, strade pulite e treni che arrivano in orario ma evidentemente credono pure nei miracoli perché in molti contestano pervicacemente l’avvio di qualsiasi opera necessaria a far sì che poi ci siano energia ed infrastrutture adeguate per tutti. Quello dei No Tav è solo l’ultimo e più eclatante caso espressione della sindrome Nimby («not in my back yard», non nel mio cortile) come dimostra lo studio curato dall’Osservatorio permanente Nimby forum, nato nel 2004 proprio per monitorare e valutare il fenomeno delle contestazioni territoriali alle opere di pubblica utilità e agli insediamenti industriali.
Che cosa emerge dallo studio? Quello che già sapevamo ma che ora è supportato da dati precisi: l’Italia è un paese paralizzato dalle proteste, dai comitati locali, dalle associazioni, dalla «ggente» disinformata, da politici e amministratori locali che cavalcano il malcontento spesso per opportunismo.
Sono ben 331 gli impianti contestati nel 2011, con un aumento del 3,4 per cento sul 2010, e nel 26,7 per cento dei casi sono i politici del luogo ad animare la protesta.
In aumento in particolare le proteste contro tutto il comparto elettrico che passano dal 58 al 62,5 per cento del totale con 207 impianti contestati. Crescono pure i contenziosi sulle fonti rinnovabili, sono 156 gli impianti contestati: biomasse, eolico e fotovoltaico non sono graditi ai cittadini per l’impatto negativo che avrebbero sull’ambiente e sulla qualità della vita. Restano stabili le proteste contro discariche, 31,4 e anche quelle contro le infrastrutture, 4,8. Una percentuale ridotta quest’ultima ma che ha visto le proteste più rabbiose come quelle contro l’Alta velocità e la Pedemontana Veneta.
Per quanto riguarda i 177 impianti per la produzione di energia elettrica (ovvero centrali, parchi eolici, centrali idroelettriche, parchi fotovoltaici, impianti a biomasse) la ricerca sottolinea come le contestazioni più forti riguardino proprio le centrali a biomasse perché vengono confuse con gli inceneritori. È guerra anche contro gli impianti eolici: i contestati passano da 29 a 41.
Dove si contesta di più? Fino a due anni fa al nord che catturava oltre il 50 per cento di tutte le manifestazioni contro, mentre nel 2011 le proteste si sono concentrate al centro e al sud in riferimento alle discariche romane di Malagrotta e Riano e anche per l’aumento dei progetti sui parchi eolici.
Ma chi contesta? Più o meno tutti: cittadini organizzati in comitati (36 per cento) e associazioni ambientaliste (7) ma anche i soggetti politici (29). Poi ci sono gli enti locali (23,6): i Comuni contro le Province e le Regioni e viceversa.

La preoccupazione principale di chi contesta è l’impatto sull’ambiente (29 per cento); il deterioramento della qualità della vita (22,4). Altro che «Belpaese dove il sì suona», a quanto pare molti italiani dicono solo no.

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