L’ultima tegola: la vendetta degli autisti licenziati

L’ultima tegola: la vendetta degli autisti licenziati

MilanoIl «giocattolo» e il «bancomat». La stagione dei veleni padani passa anche da loro, i due autisti di Renzo Bossi, il figlio del Senatùr. Il «giocattolo del Trota» è Oscar Morando, il «bancomat» è Alessandro Marmello. Entrambi hanno ricevuto la lettera di licenziamento dalla Lega. Silurati. E mentre Marmello si è già tolto qualche sassolino dalla scarpa con i filmati nei quali Bossi junior intascava i soldi destinati da via Bellerio ai rimborsi per gli chaffeur, Morando - assunto dal partito nel 2010 - si è accampato da venerdì davanti alla sede dei lùmbard in attesa di spiegazioni. E minacciando nuovo veleno. Che è arrivato.
Intervistato dal Tg4, infatti, Morando ha raccontato che il Trota «spendeva soldi (dei rimborsi pubblici, ndr) per comprare optional della sua macchina, giochi e accessori per la Xbox, computer un po’ più sofisticati». L’autista è stato ufficialmente scaricato dal Carroccio perché - si legge nella lettera di licenziamento - «invece che stare agli ordini, per ciò che riguarda le mansioni per le quali è stato assunto, dell’esponente politico cui era destinato fare l’autista, obbediva agli ordini di Manuela Marrone e Rosi Mauro (la moglie di Umberto Bossi e la vicepresidente del Senato espulsa dal partito, ndr), che non avevano alcuna qualifica per darle alcuna istruzione». Così, Morando si sfoga. «Siccome il mio compito era incentivarlo (Renzo Bossi, ndr) a fare il suo lavoro, a seguire il territorio di Brescia, dovevo far riferimento a loro due», ovvero Marrone e Mauro. Però il Trota «era molto più concentrato a fare le sue serate, a trattare la scorta come un giocattolo, ad andare in giro con sirena e paletta per andare dal dentista o per andare a farsi qualche massaggio a Brescia. Dalla sede ogni giorno o due del mese ritiravo mille o 2mila euro per le spese mie di benzina o di hotel se dovevo fermarmi al termine di qualche conferenza. I soldi sparivano perché il ragazzo aveva le sue esigenze, la sua benzina, le sue serate, i suoi locali e i suoi viaggi».
Ma ieri il «benservito» è arrivato anche a Marmello. Motivo? «Ha eseguito riprese non autorizzate tradendo la fiducia del suo datore di lavoro, cioè della Lega». Quei filmati che hanno imbarazzato la famiglia del leader leghista, in via Bellerio non li hanno mandati giù. Insomma, l’autista avrebbe dovuto avvertire i dirigenti del partito, e non le redazioni dei giornali. «Cosa che ha fatto - spiega il suo legale, l’avvocato Franz Sarno - ma non gli è stata data udienza. Aveva telefonato a Belsito chiedendo di essere ricevuto, ma Belsito gli ha risposto via sms che aveva cose più importanti da seguire». Al limite, sarebbe stata meglio una denuncia in Procura. «Ma - insiste Sarno - non essendo pubblico ufficiale non ha alcun obbligo di denuncia. In più, non essendo in grado di individuare quale tipo di reato sarebbe stato commesso, c’era il rischio che commettesse il reato di calunnia». «Quando fai certe azioni - spiega ora Marmello - devi aspettarti un po’ di tutto. Il licenziamento era una possibilità non remota, dopo la denuncia ai giornali».
Intanto, proseguono le verifiche degli inquirenti sui legami tra le Lega e le cosche. Le rogatorie con la Svizzera - dove si trova un conto cifrato utilizzato da Belsito per alcuni investimenti - sono partite.

È il filone del riciclaggio quello su cui puntano maggiormente i pm, e nel quale gioca un ruolo di primo piano Bruno Mafrici, avvocato calabrese con studio in pieno centro a Milano. E Mafrici, si scopre, in passato avrebbe cambiato nome. Da Giovanni a Bruno, così da modificare il proprio codice fiscale e mascherare alcune operarazioni finanziarie e immobiliari ora nel mirino delle Procure.

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