Roma - La buona notizia è che, molti dei famosi «scoraggiati» - ammesso che questa definizione sia realmente calzante - hanno trovato il coraggio di cercare lavoro. La cattiva, è che hanno scelto il momento meno adatto. Soprattutto se giovani.
Ieri l'Istat ha diffuso i dati mensili sul lavoro, certificando un altro aumento della disoccupazione. A dicembre era all'11,2%, in rialzo di 0,1 punti percentuali su novembre e di 1,8 punti rispetto al 2011. Un balzo indietro di tredici anni, se si considerano le serie storiche trimestrali. Sono 470mila senza lavoro in più in un anno.
La disoccupazione giovanile, a fine 2012 si è attestata al 36,6%, meno 0,2 punti percentuali su novembre, ma in aumento di ben 4,9 punti su base annua. Risultato che non è difficile mettere in relazione con la crisi e anche con la riforma del lavoro varata dal ministro Elsa Fornero, che ha irrigidito la flessibilità in entrata e quindi reso più complicate le assunzioni.
Ma i dati di fine 2012 confermano anche un'altra tendenza che si è fatta sentire con la crisi, cioè il calo degli inattivi. Persone tra i 16 e i 64 anni che non sono né occupati (non lavorano), né disoccupati (perché non cercano lavoro). Sono i cosiddetti scoraggiati. Negli ultimi 12 mesi sono calati di 265 unità (tra dicembre e novembre c'è stato invece un lieve aumento). Uno scoraggiato su cinque ha deciso di rimettersi in gioco. L'aumento coincide con i mesi più duri della crisi ed è facile immaginare che a spingere tanti che prima non lo facevano a cercare lavoro sia stata la necessità. Un'evidenza che cozza con la vulgata sui cosiddetti «né-né», giovani che non studiano e non lavorano, ma solo perché sono senza speranza.
Ed è anche una conferma del dato di giovedì sull'università che ha fatto scalpore, cioè il crollo degli studenti: 58 mila in meno in dieci anni. Colpa sicuramente di una università che non forma al lavoro, della scarsa qualità dei corsi di studio, ma anche la fine dell'ateneo - parcheggio. Tanto gli scoraggiati, quanto gli studenti per hobby, spinti dalla crisi, si sono messi a cercare lavoro.
Ma è il momento sbagliato. Perché l'occupazione sta risentendo sempre di più dei rovesci dell'economia e, quando la crisi attenuerà la morsa, l'indicatore della disoccupazione sarà l'ultimo a rispondere.
I quasi 5 punti in meno nel tasso di occupazione non sono estranei alle politiche del governo Monti. Ieri Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro ed esponente Pdl ha detto che il centrodestra, in caso di vittoria alle elezioni, metterà in cima all'agenda di governo una terapia d'urto per l'occupazione, che parte proprio dall'abolizione della riforma Fornero.
Anche Monti ieri ha affrontato il tema. Ha detto che serve un Fondo opportunità per sostenere i giovani «bisognosi e meritevoli» del Sud Italia. Ha auspicato che si faccia di più per il diritto allo studio. I costi, secondo la ricetta del candidato centrista, si possono coprire aumentando le tasse universitarie per i redditi più alti. «Posso anche pensare - ha spiegato Monti - che le tasse universitarie siano un po' più alte, che coprano una percentuale maggiore dei costi. Però è giusto che siano progressive, in base ai redditi familiari proprio per aiutare chi non ha possibilità di studiare».
Per le aziende il problema è diverso.
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