È pesante l'eredità del governo Letta in termini di tasse: 2,4 miliardi in più per quest'anno. E un altro miliardo nel 2015. Nel primo giorno di crisi dell'ex esecutivo, l'ufficio studi degli artigiani di Mestre ha calcolato, passando al setaccio la legge di Stabilità, la differenza totale tra incrementi (tanti) e diminuzioni (poche) delle entrate fiscali in agenda per il prossimo triennio. Scoprendo che, dopo un 2013 che grazie all'abolizione parziale dell'Imu ha ridotto di un miliardo le imposte complessive, il prelievo fiscale (...)
(...) sul sistema Paese, già a livelli record (pressione nominale del 44,6%, ma effettiva del 54%) sta di nuovo per aumentare. Un dato già peraltro anticipato da uno studio recente di Confcommercio-Cer, che non prevede ossigeno fiscale almeno fino al 2016.
Il punto è sempre lo stesso ed è elementare, lo si può ripetere all'infinito e non credete a chi vi dovesse dire che non è così: per far tornare i conti pubblici, a livello di parametri europei sempre più rigorosi, in presenza di una stagnazione del Pil, i casi sono due: o si tagliano le spese o si aumentano le entrate, cioè le tasse. E la strada che l'esecutivo Letta-Alfano-Saccomanni ha seguito è stata sostanzialmente la seconda. Perché più facile, più comoda e politicamente meno pericolosa. Nei circa 800 miliardi di euro di spesa pubblica, pari al 50% del Pil, non c'è stata traccia di tagli seri. E questo nonostante siano almeno 100 i miliardi definiti da esperti ed economisti «aggredibili» subito. E poco importa se l'attuale Commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, sia ben il settimo in ordine di tempo chiamato da Palazzo Chigi per mettere mano alla spesa pubblica. Forse, domani, chissà.
Per ora ci dobbiamo accontentare del «documento programmatico» (l'ennesimo) presentato pochi giorni fa, ultimo e tardivo atto del governo, nel quale Cottarelli scrive di 17,9 miliardi di spending review tra 2014 (3,5) e 2015 (14,4). Ma la differenza tra tagli e nuove tasse è sempre la stessa: dei primi, chi lo sa; delle seconde basta un consiglio dei ministri in qualunque momento del giorno o della notte. Tra l'altro, come sottolinea Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, «dei tagli previsti da Cottarelli, 3,6 miliardi sono già calcolati nel bilancio dello Stato per il 2014. Vale a dire che se non si dovessero fare, li dovremo tirare fuori noi». In proposito, sono già pronti nuovi aumenti di accise per carburanti, alcolici, birra e inasprimenti sulla Robin Tax energetica.
Quindi, anche per quest'anno, e ben che vada, dai tagli di spesa (sempre sperando che ci siano) non avremo alcun beneficio. Questi si potranno manifestare, calcola la Cgia, dal 2015, con minore prelievo sul sistema nell'ordine dei 2 miliardi. Comunque pochino, se si pensa che un punto di aliquota Irpef vale almeno 5 miliardi.
Nel calcolo della Cgia sulla eredità fiscale del governo Letta-Alfano, tra l'altro, non è compreso un altro regalino: la Tasi (eredità di Imu e Tares) le cui incognite su aliquote e detrazioni realmente applicate dagli enti locali rendono impossibile il calcolo. Per quanto riguarda i soggetti più penalizzati dagli aumenti delle imposte nel 2014, la Cgia cita banche e assicurazioni, che saranno chiamate a versare oltre 2,6 miliardi all'Erario a seguito della svalutazione e delle perdite sui crediti concessi a questi soggetti ai fini Ires e Irap. Ma scordatevi che sia una buona notizia: «Non è da escludere - dice Bortolussi - che questo aggravio fiscale abbia delle ricadute negative per cittadini e imprese. Con meno risorse a disposizione, è probabile un ulteriore contrazione degli impieghi bancari o un aumento dei costi dei servizi offerti alla clientela». Come avvenuto, per esempio, con la Robin Tax del 2008, che secondo l'Authority per l'energia è stata ampiamente scaricata sui clienti finali.
Il nascituro esecutivo Renzi è avvertito: da qui non si può prescindere.
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