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Letta vuol congelare Epifani per disinnescare la mina Renzi

Il premier esclude che il rimpasto coinvolgerà Alfano. Sul Pd punta alla proroga del segretario. I cui uomini confidano: Guglielmo fa il poliziotto cattivo, Enrico quello buono

Letta vuol congelare Epifani per disinnescare la mina Renzi

Nel Pd psicologicamente sconquassato dal ritrovarsi ammanettato - nella buona e pure nella cattiva sorte - a Silvio Berlusconi, Enrico Letta e Guglielmo Epifani agiscono di conserva e con perfetta intesa per sminare il terreno e assicurare un futuro al governo. Recitando due parti diverse, «Guglielmo fa il poliziotto cattivo ed Enrico quello buono», spiega un uomo vicino al segretario.

Così Epifani chiede per la ripresa autunnale un «tagliando per squadra e programma di governo», lasciando intendere (ma senza mai dirlo) che nel mirino dell'eventuale rimpasto deve esserci innanzitutto il Viminale; mentre Enrico Letta spiega ai suoi che sì, se servirà per rafforzare il suo esecutivo un rimpastino si può anche fare, se a decidere il quando e il come sarà lui, ma molto difficilmente potrà toccare Angelino Alfano, che è «il miglior sparring partner possibile nel Pdl». Il premier e il segretario sanno che la tensione e il malessere, dopo la fiducia obbligata di venerdì, hanno raggiunto nel Pd il livello di guardia. Ma sono cautamente ottimisti sul futuro: contano molto sul generale Agosto per spedire tutti in spiaggia a stemperare i malumori nelle acque marine, e poi se a settembre si comincia a portare a casa qualcosa di concreto sulle riforme e sull'economia, «tutto si sdrammatizzerà». Anche perché ora che il Pd ha (faticosamente) salvato Alfano, dice Letta ai suoi, «è il Pdl a essere in debito con noi», e quindi dovrà mostrarsi più morbido e cedere su alcuni punti. E questo potrà rendere più semplice la navigazione autunnale del premier. L'opera di sminamento prevede però anche il rinvio di tutti quei passaggi che possono rialimentare la tensione dentro il partito, a cominciare dalle beghe congressuali: per questo Epifani sta già operando per rinviare - per l'ennesima volta - anche la famosa Assemblea nazionale sulle regole che avrebbe segnato la discesa in campo ufficiale di Matteo Renzi: se ne parlerà quando inizieranno a cadere le foglie. La speranza dei lettiani e dei loro alleati (da Franceschini, che esclude rimpasti, a Bersani) è quella di congelare la situazione per i prossimi due anni almeno, con Letta a Palazzo Chigi e Epifani al partito. «Il mio mandato non è ripetibile», dice il segretario. Ma non dice affatto che non sia prorogabile, e sbarrare la strada al sindaco di Firenze resta il vero obiettivo dello stato maggiore Pd. Ma nelle file Pd resta grande agitazione, e prima delle sospirate vacanze qualcosa potrebbe ancora rimettere in discussione lo sminamento. «Parole come tagliando, verifica e rimpasto fanno venire i capelli dritti a chi conosce i riti della politica italiana», dice il renziano Roberto Giachetti. «E soprattutto Epifani dovrebbe spiegare: perché si è blindato il gruppo per votare la fiducia ad Alfano e un minuto dopo si torna a chiedergli quel che si è bocciato, ossia un passo indietro?». Proprio dall'imprevedibile Giachetti, peraltro, potrebbe arrivare l'ultima «mina» pre-vacanze per il governo e la maggioranza: il vicepresidente della Camera, da sempre in prima linea contro il Porcellum, ha chiesto la procedura d'urgenza per le leggi di riforma elettorale, che diventerebbero così uno dei primi punti da affrontare a settembre. Ora toccherà alla capigruppo deliberare, ma senza un accordo la questione finirà in aula. E per il Pd sarà dura convincere i suoi 400 deputati (e la sua base) che bisogna respingere l'urgenza della riforma.

Intanto, un altro focolaio di tensione si accende in Sicilia, dove il presidente Crocetta medita di candidarsi alla segreteria in funzione anti Renzi e dichiara guerra al Pd regionale, in preda a «una grave degenerazione». E accusa: «Invece di ringraziarmi perché senza di me sarebbero travolti dagli scandali, mi dicono che non seguo le loro indicazioni.

In altri tempi da Roma avrebbero mandato Pio La Torre a fare pulizia».

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