L'Europa si può salvare creando l'euro di serie B

Subito un vertice Ue per un'uscita ordinata e temporanea dei Paesi più deboli dalla moneta unica. Il cambio flessibile taglierà il debito spingendo la crescita

L'Europa si può salvare creando l'euro di serie B

Grecia di fatto fallita. Spagna prossima al default. E, con spread oltre quota 500, domani, siamone certi, toccherà all'Italia. Così non si può più andare avanti. Rischiamo, a breve, il punto di non ritorno, il collasso. Per questo servirebbe, nel più breve tempo possibile, un vertice verità in Europa, senza aspettare i folli 50 giorni di passione che ci separano dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca. Vertice straordinario in cui mettere al centro il futuro, le risposte da dare alla crisi politica e finanziaria dell'Unione, i percorsi, i tempi, le responsabilità. Non si può più aspettare. Occorre cambiare gioco, da subito, cambiare modo di guardare alla crisi, a partire dalla sua genesi: abbiamo capito, infatti, che alla base ci sono stati errori di costruzione nell'architettura della moneta unica.
Un pizzico di teoria: la definizione di area monetaria ottimale, come elaborata dall'economista, il premio Nobel canadese Robert Mundell, vale a dire un'area regionale nella quale, considerato il livello di integrazione degli scambi commerciali e il grado di facilità di movimento dei fattori produttivi (capitale e lavoro), possa funzionare un sistema di cambi fissi, quindi l'unione monetaria. Ebbene, l'eurozona non è una di queste, perché non è in grado di superare i cosiddetti «shock asimmetrici», cioè congiunture economiche favorevoli per alcuni paesi dell'Unione, ma non per altri. La storia economica dell'ultimo decennio ce l'ha dimostrato.

A questo punto ci sono tre modi per rispondere all'attacco della speculazione internazionale sui debiti sovrani dei paesi dell'area euro e sulla moneta unica; tre modi per salvare, o distruggere, l'euro e con l'euro l'Unione europea.

Il primo è quello attuale, inerziale, perverso: andare avanti così, facendo finta di agire, senza di fatto fare nulla, perpetuare vecchi vizi, vecchie procedure, perdere tempo, non decidere. Questo porta alla fine certa della moneta unica, dopo un periodo di agonia e di distruzione delle economie dei singoli Stati, con conseguente implosione politica e democratica. Con in mezzo inevitabili derive populistiche antitedesche da parte dei paesi sotto attacco (vedi la Grecia), al pari di sentimenti altrettanto pericolosi quanto a egoismo, moralismo e da primi della classe da parte dei paesi del Nord nei confronti dei paesi sotto pressione. Con conseguente implosione della stessa idea di Europa. Sarebbe bene esserne consapevoli: i tempi lunghi dei rinvii portano al disastro. Al peggior disastro.

Il secondo è noto a tutti, è quello ottimale, il più forte, il migliore, è un poker d'assi di possibile immediata implementazione, con una precisa road map istituzionale da realizzare in due anni, secondo quanto dovrebbe decidere il Consiglio Europeo del prossimo autunno in attuazione delle proposte del «quartetto» Herman Van Rompuy, Mario Draghi, José Manuel Barroso, Jean-Claude Juncker già presentate a Bruxelles il 28-29 giugno. Prevede di: 1) partire subito con l'unione bancaria (sistema bancario unico con un fondo comune di garanzia sui depositi; sorveglianza centralizzata sugli istituti di credito; regolamentazione uniforme dei fallimenti bancari; l'istituzione di un'agenzia europea di rating del credito); 2) realizzare nell'arco dei prossimi due anni l'unione economica, attraverso l'attivazione di Eurobond, Project Bond e Stability Bond; 3) creare un'autorità centrale di controllo delle politiche di bilancio dei singoli Stati e di armonizzazione delle politiche economiche, di sicurezza, di mercato del lavoro, di welfare e di politica estera, nella prospettiva dell'unione fiscale; 4) rafforzare il quadro istituzionale attuale, nell'ambito dell'unione politica, procedendo all'elezione diretta del Presidente della Commissione Europea già dalla prossima tornata elettorale nel 2014. Il tutto nel quadro di un processo riformatore volto ad attribuire alla Bce, attraverso opportune modifiche dei Trattati, un nuovo mandato che preveda il ruolo di prestatore di ultima istanza rispetto ai singoli Stati, al pari delle altre banche centrali (inglese, svizzera, giapponese) e in particolare della Federal Reserve americana.
Bello, risolutivo, ma fino ad oggi impossibile da realizzare: la Germania non vuole l'unione economica se prima non si realizza l'unione politica e fiscale e la Francia non è disposta all'unione politica, se non dopo quella economica. Un dialogo fra sordi, sulla pelle di tutti gli altri. E pure pericoloso perché in grado di fornire alibi alla deriva del primo scenario.

Infine c'è un terzo modo, che potremmo chiamare «Draghi» perché evocato più volte dal presidente della Banca Centrale Europea, non ultima il 3 maggio a Barcellona. In sintesi: gli Stati membri sono pronti per un'unione fiscale e politica? Per gli Eurobond? E per la Bce come prestatore di ultima istanza? Fuori dagli alibi, dalle impasse, dai ricatti, dalle colpevoli illusioni di breve periodo. Secondo questa strategia si ipotizza un orizzonte temporale di dieci anni entro il quale portare a termine unione bancaria, economica, fiscale, politica e revisione del ruolo della Banca centrale europea ed entro il quale tutti i 27 paesi dell'Unione si impegnano ad entrare (o meno) nell'euro, mettendo fine a comportamenti di free riding (opportunistici in quanto non soggetti a controllo) e adottando un programma di convergenza verso gli standard della moneta unica, con le conseguenti unioni economiche, fiscali, bancarie e con la piena realizzazione dell'Europa politica. Fino a ieri, questo terzo scenario poteva essere considerato il più probabile, una sorta di deriva finale, una volta sconfitti opportunismi e illusioni. Oggi non c'è più tempo: la speculazione, temendo questa soluzione, ha deciso infatti di non aspettare e di giocare contro. Accelerando e scommettendo sul default da stupidità.

E allora la risposta immediata dovrebbe essere la scelta dell'opting out, non come fatto traumatico, bensì all'interno di una volontà positiva di gestione guidata e controllata dell'intero processo. Il tutto per responsabilizzare, mettendola alle strette, l'Europa del troppo poco e troppo tardi. Per i paesi sotto pressione potrebbe esserci, la possibilità di uscire temporaneamente dall'euro, mantenendo nella sostanza tutti gli impegni presi in tema di disciplina fiscale e di bilancio, ma potendo usufruire di un tasso di cambio flessibile (entro una banda di oscillazione predefinita in base ai fondamentali economici) per diventare virtuosi attraverso la crescita, la riduzione del debito pubblico, l'aumento della produttività del lavoro e della competitività dell'intero sistema paese e partecipare, nelle condizioni e con le risorse opportune, a realizzare in maniera forte, lungimirante e duratura il grande progetto europeo. Allo stesso modo, potrebbero esercitare l'opting out, sia pur per ragioni e con finalità diverse (opposte) anche i paesi che ad oggi non accettano la mutualizzazione del debito, cosa, tuttavia, alquanto improbabile in ragione della prevalenza dei loro costi (certi) sugli inesistenti benefici.


Un vero e proprio cambiamento spiazzante di gestione strategica della crisi, proprio per garantire l'irreversibilità della moneta unica, ma anche la sua sostenibilità nel processo di implementazione dell'unione politica, economica e finanziaria della zona euro. La vera risposta, in questi tempi difficili, da realizzare subito, con la forza della volontà e con la consapevolezza della ragione. Di fare la cosa giusta. Che ne pensa, presidente Monti?

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