Cosenza - «Marcello Lippi non può rimanere alla guida della Nazionale: le intercettazioni telefoniche e gli interessi del figlio Davide hanno compromesso la sua immagine. Deve lasciare subito».
Garantista in politica, giustizialista sui campi di pallone, il senatore Tonino Gentile. Se qualcuno gli avesse dato retta, nel maggio del 2006, l'Italia non avrebbe vinto i Mondiali e lui, forse, non sarebbe mai arrivato a rivestire la carica di sottosegretario alle Infrastrutture, per la quale è diventato un caso nazionale. Ironia del destino, per una telefonata neppure sua ma di un signore di nome Umberto De Rosa, tipografo, che la sera del 18 febbraio chiama l'editore del giornale stampato per bloccare l'articolo sul coinvolgimento nell'inchiesta sulle consulenze d'oro dell'Asl cosentina del figlio del senatore, Andrea. Che dal canto suo l'editore lo aveva già cercato con un fraterno sms: «Ho avuto modo di parlare con Umberto. Volevo ringraziarti sinceramente per quanto farai». Andate a vuoto le sollecitazioni, l'indomani quel giornale, L'Ora della Calabria, non è arrivato in edicola per un guasto notturno alle rotative. Ed è scoppiato lo scandalo. Pure perché lo stampatore-telefonista samaritano, per mera coincidenza astrale, è ai vertici di una società controllata dalla Regione. Che a sua volta è guidata da un presidente dello stesso partito del senatore, Peppe Scopelliti, alfiere del Nuovo centrodestra. E in giunta siede come assessore ai Lavori pubblici (ed alle infrastrutture) il fratello del senatore, Giuseppe.
È lui l'ombelico della galassia gentiliana. La sua scalata al potere è fulminante. La parete è quella socialista. In cima c'è (e comanda) Giacomo Mancini. Sono gli anni Settanta: i Gentile fanno cordata a sé. E mentre Pino, geometra all'Aterp, diventa prima consigliere comunale, poi assessore quindi sindaco, e nel 1985 consigliere regionale, un altro fratello, Raffaele si fa largo nella Uil. Tonino, invece, dottore in geologia e giornalista pubblicista, dipendente Usl, a 29 anni è già segretario provinciale. Entra nel direttivo della Cassa di Risparmio. Nel 1987, insieme al resto del cda, è raggiunto da un ordine di cattura per i 46 miliardi di crediti facili, concessi senza garanzie. Il mandato porta la firma d'un giovane Nicola Gratteri, all'epoca giudice istruttore a Locri. Gentile ne esce prosciolto, ma indebolito: nel '92 Mancini lo tiene fuori dalle liste per il Parlamento.
Sembra la fine, è solo un nuovo inizio. Soffia Tangentopoli, ma i Gentile restano in piedi. Pino, diventato assessore regionale, lascia i socialisti per il Pri: 9.000 voti che lieviteranno fino a sfiorare i 20.000 delle ultime Regionali, ed uno slogan che diventa il marchio di fabbrica della votata ditta: «La gente lo vuole, il potere lo avversa».
È il 1995: pochi mesi dopo, aderisce a Forza Italia, di cui diviene uno dei leader nel Meridione. La strada per il Parlamento si riapre. Tocca a Tonino: nel 2001 è eletto senatore con la Casa delle Libertà, nel 2006 con Forza Italia, col Pdl nel 2008 e nel 2013. E nel 2011 per sei mesi veste i panni del sottosegretario, sostituendo all'Economia il dimissionato Nicola Cosentino. Nelle aule parlamentari diventa famoso quando, nel 2002, candida al Nobel per la pace Silvio Berlusconi. Finisce nel nulla, ma lui passa comunque alla storia come fondatore (nel 2005) del primo Napoli club in versione Parlamento. Attento alle ragioni del tifo, chiede la destituzione di Lippi e presenta un progetto di legge per istituire una commissione d'inchiesta «sulla gestione del pianeta calcio».
Pino e Tonino Gentile hanno abbracciato Alfano dopo aver mollato Berlusconi, ma non lo scettro del comando. Ed ora puntano al governo.
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