L'idea flop di fermare per legge le aziende in fuga all'estero

E la Francia di Hollande alzò un muro. Anzi, in verità, un muretto. Contro la fuga delle aziende, contro la delocalizzazione, ecco che il premier dalla popolarità in picchiata è riuscito a fatica a tirar fuori, dal cilindro, un po' consunto, delle sue trovate da gauche in disarmo, la legge che aveva tanto sbandierato in campagna elettorale: la legge anti-delocalizzazioni. Che è stata subito ribattezzata come «legge Florange», dopo che governo e sindacati si sono, inutilmente, battuti per mesi per evitare la chiusura del polo siderurgico di Florange, nel Nord-Est del Paese. Un'umiliazione politica bruciante, che ha portato alla riforma votata, avant'ieri dal Parlamento, che si propone di vietare ai gruppi industriali la chiusura selvaggia di fabbriche, per traslocare in altre località. Fatto sta che, dopo mille limature e alleggerimenti, il provvedimento transalpino è un po' come mettere la maglia di lana a qualcuno che ha già caldo perché indossa un maglione di cachemire, dato che si riduce all'obbligo, per gli imprenditori con più di mille dipendenti, di ricercare un acquirente per almeno tre mesi per continuare a garantire la produzione. Se la ricerca si rivelasse infruttuosa, gli imprenditori andrebbero incontro a una multa di 28mila euro per posto di lavoro perso, fino al limite del 2% del fatturato annuo e dovranno restituire gli aiuti statali percepiti negli ultimi due anni. Una leggina. Che ha scontentato tutti. Tanto che, secondo i sindacati, le nuove regole non impediranno davvero i piani di chiusura o le delocalizzazioni che per l'85% dei casi riguardano imprese con meno di mille dipendenti. Nei passati tre anni, infatti, oltre un migliaio di fabbriche francesi hanno chiuso o delocalizzato. Il deficit commerciale del Paese è passato in negativo, fino a un rosso di 32,9 miliardi. E in Italia? In Italia funzionerebbe un simile provvedimento o sarebbe soltanto una nuvola di fumo negli occhi? E come sarebbe possibile con una simile leggina-toppa arginare la fuga all'estero delle aziende senza farla rientrare in una politica ad hoc del governo?
I dati delle delocalizzazioni già avvenute permettono di constatare come da noi le aziende fuggiasche siano state per la maggior parte aziende con meno di mille dipendenti, se si eccettua la Fiat, che con i suoi traslochi, nel più recente decennio, ha cancellato 20mila posti nel nostro Paese. Esempi concreti sono quelli di Dainese, Omsa, Geox, Bialetti, Rossignol. Delocalizzazioni come quella della Omsa hanno fatto perdere all'Italia 400 posti di lavoro, mentre la Dainese di Molveno, la casa delle tute sportive e motociclistiche ha spostato tutto in Tunisia, dove impiega già 500 persone, salvando solo 80 lavoratori su 250. E se Bialetti ha portato la produzione della moka dell'omino con i baffi in Cina, Omsa ha spostato la produzione a in Serbia portando 320 dipendenti alla cassa integrazione. Geox ha aperto i suoi stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam, così su circa 30 mila lavoratori solo 2 mila sono italiani. Ducati Energia in India e Croazia. Benetton in Croazia, così come Stefanel. Calzedonia, celebre brand di intimo, produce quasi tutto in Bulgaria. Rossignol in Romania, con 108 esuberi a Montebelluna tagliati qualche anno fa. E poi i call center delle telecomunicazioni: un totale di oltre 5mila posti di lavoro persi. Telecom Italia ha call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia; Wind in Romania e Albania; H3G in Albania, Romania e Tunisia; Sky Italia in Albania. Considerando solo le aziende con minimo dieci dipendenti e con fatturato minimo di 2,5 milioni, nel recente decennio l'Italia ha perso qualcosa come 27mila aziende fuggite all'estero attraverso la delocalizzazione. Il caso al centro del dibattito, quello della Electrolux, prevede che tra il 2015 ed il 2016 nella sola fabbrica di Susegana l'organico sarà dimezzato: rimarranno 499 dipendenti su un organico di 1.000 dipendenti. Ma, complessivamente, gli esuberi Electrolux in Italia sono 1.550. Esuberi determinati dal trasferimento delle produzioni in Polonia e in Ungheria.

Una scelta motivata dalla multinazionale dal differenziale sul costo del lavoro tra Est Europa e Italia: 24 euro l'ora (oneri sociali compresi) in Italia, meno di 10 in Polonia. Detto questo, a che servirebbe una leggina «Florange» in Italia?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica