di Difficile mettere insieme un terremoto e una slavina, difficile collocare sotto un'unica voce due persone tragicamente morte sotto la neve e la paura di migliaia, che tra Emilia e Toscana hanno sentito di nuovo la terra tremare sotto i loro piedi. Le chiacchiere sono lenzuola buone per tutti i letti, ma la morte non si copre, non si copre il dolore, e non si copre nemmeno la paura. Occorre sospingere la fantasia - della quale solitamente ci serviamo per formulare mondi fittizi a nostra immagine e somiglianza - dentro la scorza del dolore e della paura, chiudere gli occhi e guardare con l'anima, una volta tanto, quello che non vorremmo guardare. L'ultimo sguardo verso il cielo di due persone, un istante prima di essere travolte, l'ultimo pensiero sereno prima di volgere la testa a causa di un rumore inusuale. «Che bella giornata!» «Dammi il binocolo: non è un'aquila quella lassù» Lo sguardo verso qualcosa che sembra lontano, estraneo, ma che dopo pochi istanti si fa vicino, cattivo e inevitabile. Quanto tempo sarà trascorso tra la visione della valanga e la valutazione del suo reale pericolo? Un breve intervallo nel quale tutta la vita si condensa, tra la spensieratezza di prima e l'urlo selvaggio di poi. E poi la bocca che urla. Una bocca che fino a pochi secondi prima pronunciava parole migliori delle nostre, ora improvvisamente deformata nella smorfia dell'orrore, resa simile d'un tratto alle bocche degli animali. L'orrore, chi lo conosce davvero? Forse, in quell'istante, un pensiero domina sugli altri: la nostra vita, la nostra cara vita che ora ci sfugge era così terribilmente bella, e noi nonostante i nostri sforzi non siamo stati capaci di viverla veramente, che peccato! Oppure il pensiero è corso a una persona amata: «Dio mio!, adesso resterà sola!» oppure «grazie Dio, che me l'hai messa accanto». Ma chi ha sentito - e sono ormai tante volte - la terra tremare sotto i propri piedi, e ha visto il lampadario oscillare, il bicchiere sul punto di cadere per terra, i quadri assumere una posizione spiacevole anche se non sono caduti, forse non è giunto a quel grido, ma conosce l'istante che lo precede. Come il calice di cristallo nella teca, come il vaso sull'orlo del casettone, anche dentro di noi qualcosa oscilla, trema. Anche noi siamo fatti di vetro, e per quante precauzioni possiamo prendere nulla ci garantisce che non ci romperemo. Può succedere ora, mentre scrivo - e sucederà, e sarà esattamente come adesso, un «adesso» uguale a tutti gli altri. L'orologio fa tic-tic-tic-tic, ma ci sarà un «tic» dopo il quale, almeno per me, per te, per ciascuno di noi preso separatamente, non ci sarà più nessun altro «tic». Sembra pazzesco, ma è così. Noi non ci pensiamo, e se capita speriamo che capiti a qualcun altro, io speriamo che me la cavo. Il fatto è che noi sappiamo di dover morire, ma poi non è vero che lo sappiamo: facciamo finta di saperlo. È un po' come conoscere la lunghezza del Po: un'astrazione inutile e magari anche piacevole, suscitatrice di pensieri filosofici. Ma quando il pavimento trema sotto i nostri piedi, e noi ci troviamo al terzo piano di un vecchio edificio, e nessuno può sapere se continuerà a tremare, se smetterà oppure si metterà a temare più forte, allora di filosofia ce n'è poca, e improvvisamente tutti sappiamo che noi, con tutta la nostra presunzione, tra poco potremmo gridare come animali, e non saremo rivestiti di concetti ma nudi, nudi come il giorno in cui siamo venuti al mondo e non sapevamo niente di niente - e anche adesso, in fondo, continuiamo a non sapere niente di niente.
Allora capiamo un po' meglio che cosa sono queste cose, chiamate Destino, o Mistero, con le quali abbiamo combattuto, irragionevolmente, per tutta la vita. E se Dio ci concede altri giorni sulla terra, allora forse diventeremo più umili e rispettosi, perché ogni istante che passa è davvero un bene infinito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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