nostro inviato a Venezia
Dopo dieci giorni di manette e interrogatori, Venezia è di nuovo una città turistica. La procura è deserta, i pm tirano il fiato. Le ammissioni del sindaco Giorgio Orsoni sono considerate molto importanti. Di fatto l'ex sindaco di Venezia ha riconosciuto l'esistenza di un sistema illegale di finanziamento della politica e ha aggiunto che sui quei binari viaggiava anche la classe dirigente del Pd. Il problema ora è come andare avanti. Seguendo questa e le altre piste di un'indagine complessa e ramificata. C'è un filone che riguarda il centrodestra, con la partita di Galan che si combatterà fra tribunale e parlamento nei prossimi giorni; ci sono gli accertamenti, tutt'altro che conclusi, sulla Guardia di finanza e poi c'è la Tangentopoli rossa. Quella che il procuratore aggiunto Carlo Nordio aveva già individuato negli anni Novanta. Non è «plausibile - scrivono i pm dando un parere favorevole alla scarcerazione dell'ex sindaco - che un candidato del prestigio di Orsoni si dovesse dedicare a raccattare fondi con iniziative personali diffuse e petulanti.. Ben più ragionevole è l'ipotesi che sia stata la stessa struttura del partito ad accollarsi questa gravosa funzione».
Il partito, dunque, nella sua articolazione regionale, con tre personaggi in prima fila: Davide Zoggia ex presidente della provincia di Venezia, Michele Mognato, ex segretario provinciale del Pd, Giampietro Marchese, ex vicepresidente del consiglio regionale, l'unico arrestato nel blitz delle scorse settimane. Sono i membri della nomenklatura su cui si sono appuntate le attenzioni della magistratura.
Ma questo non vuol dire che altri provvedimenti siano nell'aria. Le dichiarazioni di Orsoni sono pesate per quel che sono: un punto di partenza, un binocolo puntato, ma nulla di più. Le pagine del verbale sono generiche e sfumate, per andare avanti serve ben altro. Riscontri, conti correnti, bonifici, operazioni bancarie. Il metronomo dell'indagine non prevede dunque colpi di scena nei prossimi giorni. E questo a dispetto dei boatos che arrivano da Roma annunciando fragorosi contraccolpi. Nessuna frenesia in una procura ad alto tasso di garantismo e che ragiona più sulla solidità dei mattoni investigativi che sulla velocità del lavoro di scavo.
Non sarà facile assemblare i pezzi di un'inchiesta che si sviluppa in molte direzioni. Ci sono, per esempio, le chiacchierate a ruota libera dei cooperatori rossi che sgomitano per avere un posto a tavola, strattonano i compagni del Pd, partecipano a cene elettorali, si danno da fare per avere appalti su appalti. «Qui bisogna che decidiamo..o abbiamo un rapporto con il Pd..a livello nazionale..», afferma il presidente del Coveco, Consorzio veneto di costruzioni, Franco Morbiolo, pure arrestato, in un colloquio con il solito Marchese. Pare il manifesto di un modo spregiudicato se non famelico di fare imprenditoria sfruttando le sinergie di un sistema malato, in cui politica e industria vanno a braccetto. Ma non basta certo un'intercettazione ambientale per costruire un capo d'imputazione. Ci vorrà tempo.
E intanto i leader del Pd veneto si difendono. «Davide Zoggia - affermano i suoi legali, Gianluca Luongo e Marta de Manincor - diede solo indicazioni di natura politica, in particolare per la venuta a Venezia, alle elezioni del 2010, di personalità di rilievo nazionale». Nessun maneggio, dunque. Sulla stessa linea gli avvocati Alicia Mejia Fritsch e Alfredo Zabeo: «Michele Mognato non ha mai trattato di finanziamenti».
C'era un sistema, vanno riempite le caselle.
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