Roma - Salvo impegni di forza realmente maggiore, non può mancare nessuno tra grandi e piccoli banchieri all'appuntamento romano delle «Considerazioni Finali». E così è stato anche ieri. C'erano Cucchiani e Ghizzoni; Saviotti e Profumo; Bonomi e Zonin per citarne alcuni. Applausi e apprezzamenti di rito per la gestione di Ignazio Visco. Ma quello che i top manager bancari pensano veramente, non lo hanno detto di certo ieri, all'assemblea della Banca d'Italia. Se ne guardano bene, sarebbe troppo «sconveniente».
Il punto è quella ventina di ispezioni che Bankitalia ha effettuato un po' a sorpresa alla fine del 2012, che hanno sconvolto i bilanci delle banche coinvolte condizionando anche quelli di molte altre. Il furore dei Visco boys si è scatenato sulle rettifiche imposte ai crediti in sofferenza, passati in due anni da 100 a 126 miliardi. E, di conserva, sulle valutazioni dei cespiti a garanzia dei crediti. In estrema sintesi, di fronte a un credito già dubbio, Bankitalia ha esaminato gli immobili a garanzia imponendo di adeguarli a valori di mercato; ciò ha implicato una perdita secca in conto economico e un calo della patrimonializzazione per la riduzione delle riserve. Ne sono derivati una decina di bilanci che, positivi fino a settembre, hanno poi chiuso in rosso. Lasciando a secco gli azionisti e senza bonus i manager. In qualche caso, come per Banca Marche, ora serve un aumento di capitale. Carige, Creval, Veneto Banca sono solo alcuni esempi della scure di via Nazionale su cedole e bonus. Ma nei loro numeri sono stati colpiti anche colossi come Intesa e Banco Pop. Il duro regime - inoltre - è arrivato dopo le dichiarazioni di Visco al Forex di Bergamo del febbraio scorso, quando il governatore ha chiesto di poter rimuovere i manager inadeguati. Insomma: un pressing a tutto campo della vigilanza nei confronti di un sistema che ufficialmente ha fatto buon viso a cattivo gioco. Ma dietro le quinte si lamenta. Alcuni, sotto garanzia di anonimato, parlano della debolezza della politica: «In mancanza di referenti forti, i tecnici dilagano e impongono la loro visione anche nel mondo creditizio. Non è un caso che questo governo abbia pescato bene in Bankitalia». Altri sono più puntuali: «Visco temeva che l'Fmi avesse in mente di imporci la bad bank, come in Spagna. Allora ha detto al Fondo che da noi non serviva e glielo ha anche dimostrato». Poi c'è lo spauracchio Mps: «Via Nazionale, da febbraio in poi, ha voluto dare un segnale forte per limitare gli effetti del caso Siena a livello reputazionale». I mal di pancia nei confronti di Visco non mancano, dunque. Ma restano sotto traccia, inconfessabili o quasi. E il governatore non mostra ripensamenti sulla linea dura: nelle «Considerazioni» si legge che l'azione ispettiva sui «tassi di copertura dei crediti deteriorati continuerà», anche «in vista della vigilanza unica europea». Inoltre, «se la vigilanza fosse stata meno incisiva, i rischi per le banche e l'economia sarebbero stati ingenti».
Tuttavia un segnale di apertura c'è: Visco scrive che «è opportuno correggere l'attuale penalizzazione fiscale delle svalutazioni su crediti. La diluizione nel tempo della deducibilità» penalizza gli impieghi. È esattamente quello che chiede il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, che in questi mesi ha subìto tutto.
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