L'irriverente D'Alema: "Non decide Bersani, ma il partito"

L'ex premier è in Parlamento da più di 23 anni. Ma la sua carriera a sinistra è cominciata ancor prima

L'irriverente D'Alema: "Non decide Bersani, ma il partito"

È tra i dieci politici che stanno in Parlamento da più tempo: 23 anni e 189 giorni, per la precisione. Nel mondo della sinistra, invece, Massimo D'Alema è entrato molto prima. È il 1969 quando a 14 anni si iscrive alla Federazione giovanile comunista italiana (Fgci), della quale dal 1975 al 1980 assume l'incarico di segretario nazionale.

Nel "movimentato" '68, il Partito Comunista italiano stampa la prima tessera a quello che sarebbe diventato il Lider Maximo. La scalata ai vertici del Pci è scandita da uno dei non pochi successi di D'Alema: la svolta di Occhetto, eletto alla segreteria di Botteghe Oscure pensionando (oggi si direbbe rottamando) il venerando Natta.

Fu Massimo uno degli artefici, se non l'artefice, di quell'operazione fatta in nome di un rinnovamento generazionale (oggi si chiamerebbe rottamazione) che nei giorni nostri viene riproposto, con declinazioni e contesti differenti, da Matteo Renzi. Quello stesso Renzi con il quale sono volati stracci e stilettate al cianuro. All'epoca D'Alema aveva 40 anni, tre in più del sindaco fiorentino, ma vantava una militanza navigata.

Dieci anni prima della svolta di Occhetto, D'Alema entra a far parte del Comitato centrale al XV congresso. Nel Congresso del 1983 è nella Direzione, tre anni dopo nella segreteria. Algido, riflessivo, acuto, caustico, colto, simpatico solo per alcuni, Massimo D'Alema lavora più nell'ombra che alla luce. Entra per la prima volta alla Camera dei deputati nel 1987, eletto nella circoscrizione di Lecce-Brindisi-Taranto. Passano pochi anni e comincia la scalata nel nuovo Pds. Nel 1991 ne diviene coordinatore politico, nel 1994 segretario nazionale e anni dopo presidente.

La sua carriera annovera esperienze importanti e variegate. Nel 1997 viene eletto Presidente della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali. Dal 21 ottobre 1998 all'aprile 2000 ricopre la carica di presidente del Consiglio dei ministri (il primo comunista ad andare al governo in Italia). E poi ancora, presidente della Fondazione di cultura politica Italianieuropei, presidente dei Democratici di sinistra, vice presidente dell'Internazionale Socialista, dal 2003, eletto un anno dopo al Parlamento Europeo. E poi c'è l'Ulivo, nella cui lista viene eletto deputato nel 2006 e nominato ministro degli Esteri nel governo Prodi.

Dal 2010 è presidente del Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) e da giugno dello stesso anno è stato eletto presidente della Foundation of European Progressive Studies (FEPS). Senza dimenticare poi la sua prolifica attività di giornalista, con alle spalle la direzione del quotidiano L'Unità, e il suo altrettanto prolifico coinvolgimento nei famigerati quanto controversi casi "sinistri" (in tutti i sensi): dalla tentata scalata Unipol allo scandalo Enac, passando per la sanitopoli pugliese. Per finire poi con la storia degli affitti soggetti a regime di "equo canone" e di cui usufruivano alcuni politici, tra cui lo stesso D'Alema (che poi lasciò l'appartamento). Questione riaffrontata a Ballarò in un battibecco con il direttore Alessandro Sallusti, che ebbe la capacità di fare infuriare uno che difficilmente si inalbera.

A parte quell'episodio, D'Alema, oggi come ieri, rimane impassibile di fronte agli eventi. Cerca di governarli. Preferisce far valere la sua stazza politica, la sua esperienza militante. Lancia dichiarazioni al cianuro, manda avanti i fedelissimi, muove (o prova a farlo) i pupi democratici e punta i riflettori ora su un punto dell'agenda ora su un altro.

Anche il suo sano e sterile narcisismo non è cambiato. Lo ha dimostrato quando, parlando di Monti, ha rivendicato come la sinistra avesse fatto meglio di lui, soprattutto "con Ciampi e con Padoa Schioppa". O quando si propose come consulente del premier in tema di riduzione del debito pubblico, dicendosi disponibile a un'audizione. La solita saggezza esperienziale che rasenta la saccenza. D'Alema è sempre stato così. Una volta, a una giornalista che gli chiedeva: “Posso farle una domanda?”, le rispose: “L’ha già fatta” - ha ricordato Fabrizio Rondolino.

Massimo il saggio. Massimo l'irriverente. Massimo che non deve chiedere mai. Il suo "Mi candido se me lo chiede il partito" rispecchia fedelmente il suo carattere: un mix di superiorità, narcisismo e consapevolezza dei propri mezzi intrisa dal desiderio che siano gli altri a riconosceglierli, i suoi mezzi. E che siano soprattutto gli altri a chiedere il suo aiuto. Ma questa volta, stando a sentire Bersani, a chiamare alle armi D'Alema al momento sono rimasti solo quei 700 firmatari dell'appello sul giornale che lui stesso diresse agli albori della sua carriera.

Ma tra le qualità del Lider Maximo c'è anche la tenacia. La stessa tenacia che lo ha portato a rispondere così, a muso duro, al segretario del Partito Democratico: "Non decide Bersani ma il partito".

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