Roma - No, Sigmund Freud non era un fesso. «Sono sceso dal piedistallo - ammette Mario Monti nell'ennesima passerella su Tgcom 24 - mi sono messo dalla parte degli esclusi». È il nuovo profilo di comunicazione, ulteriore mutazione genetica del Prof, la cui eccessiva compostezza finora non ha bucato il video, né suscitato entusiasmi. Quel che invece rischia di trapelare dalla seconda parte dell'affermazione, è la paura che serpeggia tra supporter, amici veri e profittatori del trampolino montiano. Restare, dopo le urne, dalla parte degli «esclusi». Dal Parlamento.
Paura registrata anche dal sensibile termometro di Dagospia, secondo il quale fa 9,9 per cento: è la quota che impedirebbe alla coalizione di superare lo sbarramento del 10 previsto alla Camera. Su quali presupposti si basa la fosca previsione? Anzitutto sul mancato sfondamento di SuperMario, la cui salita in campo - dopo una riuscita creazione dell'attesa (in pubblicità, un toccasana) - ancora ieri era rilevata dai sondaggi con un misero 5-6 per cento. Aggiunto al 5-6 storico di Casini, al 2-3 stimato per Fini fa appunto il totale di 12-15 per cento. Quota lontana da qualsiasi possibilità di vittoria, ma sufficiente a fare il Ghino di Tacco al Senato. Da qui la cocente delusione di Eugenio Scalfari (allergico a ogni ricordo craxiano) e la rabbiosa pretesa di Casini nei confronti di Bersani («Sarai premier solo se vinci al Senato»).
Bene, anzi male. Perché nel frattempo, Bersani da un lato e Berlusconi dall'altro hanno cominciato a stringere il Prof in una morsa: politica e mediatica. In particolare Berlusconi, sottovalutato ancora una volta dagli osservatori internazionali (erano convinti che bastasse mettere un Monti nel cannone per avere la pelle dell'orso), accordandosi con la Lega ha cambiato non poco lo scenario, soprattutto al Nord. Se la rinata compattezza del centrodestra riconquisterà elettori nelle regioni di tradizionale forza (Lombardia, Veneto, Campania e Sicilia), essa tornerebbe ben al di sopra del 30 per cento. Il centrosinistra di Bersani è accreditato quasi al 40, Grillo tiene tra il 13 e il 18, Ingroia tra il 3 e il 5. Si evince che spazio per un altro dieci per cento non c'è, come ha intuito bene Corrado Passera. E come stanno capendo anche alcuni sostenitori del Vaticano. Brusca la frenata degli ultimi giorni, con un ultimo tassello aggiunto ieri: l'imbarazzato annullamento del Forum di Todi, dal quale gli organizzatori avevano deciso di voler tenere fuori Monti. Anche per questo il Prof ha cominciato a usare il Pontefice persino in chiave di risalita elettorale: «Ha ragione il Papa, c'è troppa differenza tra ricchi e poveri», ha detto.
Lo scenario di débacle totale alla Camera inquieta molto Casini che, guarda caso, si farà candidare al Senato (qui nomi eccellenti ed ex parlamentari possono valere il superamento dell'8 per cento in più di una regione). Dopo uno sfibrante braccio di ferro con Monti e Fini per le liste, il capo Udc ieri ha fatto buon viso a cattivo gioco: «Siamo un po' indietro, ma il clima è ottimo e va bene tutto quel che decide Monti». Il rifiuto di quote per la quarantina di seggi a Palazzo Madama (Casini ne voleva 15, i montiani dieci in tutto per Udc e Fli) ha fruttato al Prof la mano libera. «Lasciamolo fare, dobbiamo fidarci di lui, altrimenti finisce che restiamo tutti fuori» è stata la bandiera bianca di udicini e finiani che, estromessi i «portatori di voti», non possono certo contare sul voto d'opinione.
Così Monti ha potuto tirare fuori dal taschino i suoi primi fiori all'occhiello: il direttore del Tempo, Mario Sechi, la fiorettista olimpica Valentina Vezzali, Alberto Bombassei (patròn della Brembo), Luigi Marino (Confcooperative) e la presidente del Fai, Ilaria Borletti Buitoni. Nomi eccellenti per puntare allo «scudetto dei poveri», la salvezza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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